Risolto il rebus della Commissione Europea, il commissario Jean Claude Juncker ha distribuito tutte le poltrone per il governo europeo delle larghe intese (popolari insieme ai socialisti, come pressoché sempre avvenuto in Unione Europa). Un gioco a incastri, comandato dalla necessità di accontentare tutti, considerando il peso politico detenuto, di riservare un posto di privilegio per i capi bastone della Commissione, Germania innanzitutto, e di rispettare i paletti di genere, vincolo affrontato con ipocrita spirito.
Il socialista francese Pierre Moscovici, ex ministro dell’economia di Hollande, conquista il portafoglio degli Affari economici ma sarà controllato a vista da due capi (aventi potere di veto sulle sue decisioni) a cui dovrà rendere conto: il finlandese Jyrki Katainen e il lettone Valdis Dombrovskis, due personalità che rappresentano una garanzia per la tedesca Angela Merkel, interpretando la linea dura dell’Europa, quella poco incline alla flessibilità delle regole e dei parametri.
Sotto di lui Juncker ha voluto prima di tutto un braccio destro, l’olandese Frans Timmermans, nominato “primo vicepresidente”, che potrà fare le pulci a tutti, in tutti i dossier, e volendo anche bloccarli visto che sarà il responsabile dell’ordine del giorno della Commissione. Poi altri sei vicepresidenti, compresa la Federica Mogherini, nomina ben ridimensionata dal valore strombazzato da Matteo Renzi. I sette vice di Juncker sono stati suddivisi per aree tematiche e ognuno controllerà il lavoro di più commissari. Il sistema Junker, come mai visto fino ad oggi in Unione europea, limita i poteri dei commissari, consegnando quindi ai politici top player d’Europa le chiavi dell’esecutivo.