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sabato, 27 Luglio 2024

Ricercatore condannato a morte in Iran. Saitta: “Scarcerate il dottor Djalali”

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

«Come Regione Piemonte chiediamo quindi l’immediata revoca della sua condanna e la sua scarcerazione e sollecitiamo il Governo e l’Unione europea a intervenire presso le autorità iraniane», è l’accorato appello di Antonio Saitta, assessore regionale alla Sanità, per salvare il medico iraniano condannato a morte con l’accusa di essere una spia. «Non possiamo rimanere insensibili – aggiunge Saitta – di fronte alla vicenda del dottor Djalali, un professionista che per anni ha lavorato per la sanità piemontese, stimato e apprezzato da tutti i colleghi».

Lo sfortunato medico arrestato e incarcerato dai giudici di Teheran è molto conosciuto in Piemonte perchè, dopo il dottorato di ricerca conseguito in Svezia, ha operato per quattro anni a Novara come ricercatore capo Crimedim (Centro ricerca in medicina di emergenza e catastrofi) presso l’Università del Piemonte Orientale. Djalali è sposato con due bambini di 6 e 14 anni. La sua ultima visita in Iran, dove tornava periodicamente, risale ad aprile 2016.

Ma vediamo in dettaglio i fatti che hanno portato a questa terribile situazione. Il medico periodicamente tornava nel suo paese, così come fece nell’aprile 2016. Da quel momento si persero le sue tracce dietro le sbarre del carcere di Evin nella capitale iraniana. Questo con un regime di detenzione che gli impedisce di comunicare non solo con l’esterno ma anche con il suo avvocato. Neanche la moglie ha potuto incontrarlo. Inoltre per sei mesi nessuno gli ha comunicato i motivi del suo arresto. Per protestare contro la sua condizione il medico ha portato avanti uno sciopero della fame ma poi risulta sia stato “obbligato” a firmare una confessione di colpevolezza. Una ammissione che lascia perplessi visto la protesta portata avanti dal medico dietro le sbarre e in isolamento quando è venuto a conoscenza delle accuse. Il caso è rimasto nel silenzio per molto tempo in quanto , secondo quanto rileva la moglie Vida Mehrannia, le era stato “consigliato” il silenzio assoluto per non peggiorare la situazione.

L’ unica colpa del medico è quella di aver collaborato all’estero con ricercatori italiani, israeliani, svedesi, americani e del Medio Oriente, per migliorare le capacità operative degli ospedali di quei paesi che soffrono la povertà e sono flagellati da guerre e disastri naturali. E’ quanto asseriscono allibiti i tanti medici di diverse nazioni che hanno collaborato il dr. Djalali. Medici che hanno lanciato un appello per la sua liberazione. Tra questi Roberta Petrino, presidente dell’Eusem, la European society for emergency medicine, nonché presidente regionale del Simeu.

Un caso che lascia quanto mai perplessi anche alla luce delle importanti aperture politico economiche legate ai buoni rapporti sviluppati in questi ultimi anni da molti paesi occidentali e in prima persona dall’ex presidente degli Stati Uniti Obama con le autorità di Teheran

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