di Bernardo Basilici Menini
Tempi duri per i grandi eventi culturali a Torino. Dopo il Salone del Libro, l’eccellenza torinese che ha fatto i bagagli verso il capoluogo lombardo, adesso tocca anche alla mostra del grande pittore francese. Il tutto dopo che per giorni erano andate avanti le polemiche che hanno portato alle dimissioni spontanee della presidente della Fondazione Musei Patrizia Asproni, a seguito dei ripetuti attacchi al suo indirizzo da parte della sindaca Chiara Appendino.
Secondo molti, tuttavia, non si può parlare di uno “scippo”, come nel caso del Salone. Quanto più di un regalo. Questo perché, come hanno sostenuto dalla giunta del sindaco di Milano Beppe Sala, «è stata colta un’utile opportunità» da parte degli amministratori meneghini.
A Torino si lavorava alla mostra già da tempo e la riuscita sembrava ormai cosa fatta. Poi «sono cambiate tante cose», per usare le parole di Massimo Vitta Zeldman, presidente di Skira, soggetto organizzatore della mostra. Alcuni hanno dato la colpa alla giunta pentestellata richiamando la famosa dichiarazione dell’assessora alla cultura Leon, che non voleva «mostre blockbuster importate» a Torino, altri hanno puntato il dito contro Patrizia Asproni.
Sicuramente il clima altamente conflittuale non ha fatto che indebolire le difese di una città che si è vista soffiare un grande evento culturale da sotto il naso. Il secondo nel giro di pochi mesi.
Immaginare Torino come la capitale italiana della cultura è possibile. Magari facendo più attenzione a che le eccellenze cittadine non continuino a emigrare verso la principale concorrente.