Sul banco degli imputati c’è sempre lui, Francesco Furchì, l’uomo accusato di aver esploso i colpi contro il consigliere comunale Alberto Musy, quella mattina del 21 marzo 2012.
Ha perso oltre venti chili, la faccia provata senza baffi e barba, porta i segni dello sciopero della fame e della sete intrapreso per rivendicare la sua innocenza, proclamata fin dal primo momento.
Dopo la morte di Musy, in seguito a diciannove mesi di coma, il capo d’accusa nei confronti del presunto assassino è diventato omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e il processo è passato in corte d’Assise.
Tiene lo sguardo basso Furchì. Occhiate veloci per non incontrare, forse, quelli di Angelica Corporandi d’Auvare, la moglie di Musy. Lei che con forza continua a lottare e a sperare che si scriva la parola fine a questa vicenda dando finalmente un nome all’assassino di suo marito e del padre delle sue quattro figlie.
Il pubblico ministero Roberto Furlan ha riproposto la perizia psichiatrica per l’imputato: «I difensori avevano detto che non avrebbero prestato alcun tipo di collaborazione – ha detto – e il tribunale non l’aveva disposta. Io non ho elementi per dire che l’imputato fosse incapace di intendere e di volere al momento del fatto ma presento alla corte alcune circostanze che mi avevano indotto a richiederla».
Gli avvocati difensori di Furchì, Giancarlo Pittelli e Mariarosa Ferrara, si sono opposti alla richiesta di Furlan: «Si vuole continuare a indicare questo delitto – hanno detto – come gesto di un pazzo».
Il processo è stato aggiornato all’8 aprile.
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