di Moreno D’Angelo
Per dare speranze a Torino bisogna ripartire dalle periferie. Nel tradizionale incontro natalizio con i giornalisti l’arcivescovo Cesare Nosiglia ha lanciato il suo appello ai politici per una reale attenzione verso chi vive ai margini della città.
Nosiglia da tempo denuncia i preoccupanti livelli di povertà a Torino, registrando un forte aumento delle richieste di aiuto alle parrocchie, ma tuttavia riscontra come al persistere delle difficoltà si affianchi una ripresa di fiducia e di impegno. Un reagire, uno sforzo che – precisa – «non dobbiamo lasciare cadere offrendo opportunità e sostegno, sia morale e spirituale, sia sociale ed economico, a tanti che desiderano farsi protagonisti del loro domani».
Pur non nominando la sindaca, nel cui programma elettorale l’attenzione alle periferie era un punto prioritario, l’arcivescovo ha un cenno critico verso i politici invitandoli ad avere un reale contatto con questi quartieri non solo basato su occasionali visite, spesso “preavvisate”. «Realtà – invita Nosiglia – da cui partire per ridare speranza a una città laboratorio che può diventare esempio virtuoso e traino per il Paese».
L’arcivescovo ha inoltre criticato quelli che ha definito come “programmi fatti a dal Centro a tavolino” che restano poi solo sulla carta. Insomma di fatto vuoti slogan.
Tutto questo ribadendo l’importanza del contatto diretto e del dialogo con le persone che abitano queste realtà ai margini della città: «Bisogna andare per incontrare la popolazione non avendo paura di essere criticati, altrimenti le persone finiscono per sentirsi abbandonate dalle istituzioni». Con un tono di speranza si è augurato una svolta nel nuovo anno: «Mi pare ci sia la volontà di fare qualcosa e il 2017 potrebbe essere un anno di svolta».
In conclusione si è augurato che l’esplosiva situazione dell’ex Moi «non diventi solo una operazione di sgombero ma di dignità e rispetto delle persone», ricordando che la Diocesi di Torino ha avviato una mappatura degli immobili inutilizzati o vuoti della Chiesa e degli enti ecclesiastici da destinare all’accoglienza. «Vorrei che la stessa cosa – ha auspicato – venisse fatta per tutti gli immobili: ci sono tante case, caserme, ed edifici pubblici non utilizzati in città».