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sabato, 27 Luglio 2024

Pd: ora può capitare di tutto

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Con chi stai, con la Leopolda di Firenze o con la piazza romana della Cgil? Ormai è questa la domanda che serpeggia fra i Democratici quando si parla del futuro del partito. E la domanda campeggia ormai su tutti gli organi di informazione e in qualsiasi cicaleccio fra gli elettori e gli iscritti del Pd. Perché, ed è inutile nasconderlo almeno tra di noi, il fatidico termine “scissione” da molti continua ad essere esorcizzato ma da altrettanti viene evocato come un esito ormai ineluttabile. Seppur come “ultima spiaggia”…
Non entro nel merito di questa discussione, nota a tutti e da tutti ben conosciuta.
Mi limito a 2 sole osservazioni che, seppur generali, fanno da sfondo a questa discussione che è scoppiata dopo il doppio appuntamento di questo fine settimana.
Innanzitutto il “profilo” e la “mission” del Partito democratico. Indubbiamente sono cambiati in profondità. Chi pensa che il Pd di oggi continui ad essere il Pd di Veltroni e di Bersani si sbaglia in profondità. Il Pd di oggi è un partito che punta, seppur sull’onda della vocazione maggioritaria, a rappresentare la maggioranza degli italiani attraverso un progetto politico che parla, appunto, a tutti gli italiani e che non si limita al vecchio recinto di un partito di centro sinistra. Di qui, appunto, il termine di “partito della nazione” o “partito del Paese”. Un partito, cioè, che ha superato la vecchia dicotomia tra centro destra e centro sinistra e che si pone al centro della politica italiana come elemento aggregante di più istanze, di più sensibilità, di più richieste, di più classi sociali, di più interessi contrapposti e anche confliggenti. Nulla a che vedere con la vecchia DC – anche se ogni parallelismo sarebbe quanto mai arduo per le profonde diversità politiche, culturali e sociali tra le due fasi storiche – dove c’era un impianto culturale e ideale sufficientemente omogeneo per poterlo definire un “partito identitario”. No, il Pd di oggi è un partito post ideologico, post identitario e post coalizionale. È un partito che punta direttamente al governo da solo e che è aperto a tutti gli elettori. Un partito, cioè, che non può erigere steccati culturali o, peggio ancora, ideologici verso chicchessia.
La seconda considerazione riguarda la cosiddetta “sinistra del Pd”. Renzi, su questo versante, ha usato parole chiare e ultimative. Nessun cedimento ai “reduci”, ai “nostalgici” e a chi vuol far “regredire il partito al 25 per cento”.
Ora, senza soffermarsi sugli organigrammi o sui pettegolezzi, è indubbio che ci troviamo di fronte a due modalità di declinare la presenza di questo partito nella società italiana. Due modalità che portano, di conseguenza, a due progetti politici, a due classi dirigenti, a due ricette economiche e sociali e, soprattutto, a due risposte di governo. Non dico alternative ma profondamente diverse e distanti.
È possibile ricondurre ad una sintesi efficace ed operativa questa opposta visione? Francamente è una operazione quanto mai difficile. Fuorché una delle due parti decida autonomamente di rinunciare a ciò che predica in pubblico e capitoli. Ipotesi, questa, altamente improbabile…
Ecco perché, nella ormai radicale assenza del centro destra berlusconiano – sempre più attratto dal progetto a tutto campo del Pd – il confronto nel centro sinistra è destinato a dominare il dibattito politico nel nostro paese. Al netto dell’antisistema, e fuori gioco, Grillo e della crescita, anche se misurata, della destra leghista.
Un confronto che è aperto, quindi, a qualsiasi soluzione. Da una ritrovata unità del Pd – che appare a tutt’oggi sempre più incerta e problematica – ad una ipotetica divisione del partito che, come dice lo stesso, Renzi, non può rinunciare alla sua mission di partito di governo e asse pigliatutto della politica italiana per rincorrere posizioni di retroguardia e puramente nostalgiche.

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