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sabato, 27 Luglio 2024

Pd, no alle scissioni. Ma dipende solo dal futuro segretario

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Il centro destra si è frantumato. Scelta Civica si è miseramente dissolta ad appena 6 mesi dopo la sua pomposa nascita. Della sinistra estrema non c’è traccia. L’area di centro sta cercando di riorganizzarsi ma, al momento, non mancano le difficoltà politiche ed organizzative. Insomma, è l’intero quadro politico ad essere fortemente in movimento e le certezze che hanno accompagnato la politica italiana per quasi vent’anni sono destinate a dissolversi rapidamente.
In questo contesto si inserisce la “questione Pd”. Certo, non si tratta di evocare scenari virtuali o apocalittici. Ma è indubbio che, se da un lato quando si scongela uno schieramento anche quello alternativo entra normalmente in fibrillazione, è altrettanto noto che, dall’altro, dopo l’8 dicembre molto probabilmente il Pd andrà incontro ad una profonda ristrutturazione e ad mutamento del suo profilo politico e culturale.
Se il sindaco di Firenze sarà il nuovo segretario nazionale e se manterrà fede alle promesse fatte in questi mesi – e nulla porta a dire che debba rinunciare a quelle promesse – il Pd è destinato oggettivamente a cambiare faccia e carta di identità. E non solo anagrafica. E questo per un semplice motivo. Si attenuerà fortemente quella “cittadinanza” politica e culturale garantita a tutti che sino ad oggi ha accompagnato le varie fasi politiche del Partito Democratico. Una cittadinanza che era politica e culturale e che prescindeva dall’età, dalla esperienza e dalle biografie dei singoli esponenti. Una “rivoluzione” del resto annunciata da tempo e che è destinata a cambiare in modo profondo il cammino politico del Pd. E questo lo dico senza polemica e senza rancore.
E, aggiungo, se questo dovesse essere il risultato delle primarie dell’8 dicembre è perfettamente inutile scagliarsi contro il vincitore. Per un semplice motivo: quella impostazione non sarebbe nient’altro che il volere maggioritario del cosiddetto “popolo democratico”. Poi, certo, questo sarebbe anche il frutto di un bombardamento mediatico a tutti noto. Un bombardamento a vantaggio del sindaco di Firenze che ormai è diventato un fatto strutturale e quasi scontato nel panorama politico e informativo del nostro Paese. Una sorta di attesa messianica del “vincitore”, di chi “farà finalmente giustizia”, di chi “chiuderà definitivamente gli ultimi 20 anni della storia politica italiana”.
È lo stesso clima che si respirava alla fine del ’93 e all’inizio del ’94 quando si aspettava con ansia la “discesa in campo” di Silvio Berlusconi. A volte, e del tutto casualmente, le situazioni si ripetono seppur con attori diversi e con contesti diversi. Ma il clima è sempre quello e, paradossalmente, si ripetono anche gli atteggiamenti e i comportamenti. Dal “carro del vincitore” ai trasformismi di varia natura, dalle conversioni improvvise all’attesa del “messia” laico. Insomma, un repertorio noto agli addetti ai lavori.
Ma, al di là di questo copione, quello che adesso va sottolineato e richiamato con forza è la capacità – o meno – del Pd di saper garantire dopo l’8 dicembre una forte unità del partito e di non “sfregiare” la stessa identità del partito in nome di una maldestra modernità. Perché se questi elementi venissero meno, tutto è possibile – e legittimo – dopo le primarie dell’8 dicembre.
È sbagliato oggi parlare di “scissione”, di “frattura” e di “spaccatura” del Pd. È sbagliato perché è prematuro e dettato da pregiudizi personali o politici. Ma sarebbe addirittura necessario, oltreché legittimo, se queste caratteristiche – cioè la ricerca dell’unità del partito e la garanzia della cittadinanza a tutti nel partito – venissero meno nel percorso post congressuale. Perché di questo si tratta, al di là delle prediche di chi è salito ultimamente sul “carro del vincitore”.
E chi insiste, oggi più che mai, sulla necessità di salvaguardare sino in fondo le caratteristiche originali del Pd – e cioè la sua natura inclusiva, plurale e democratica – non lo fa per un capriccio o per un atteggiamento minoritario o rancoroso. Lo fa perché se si cede su quegli aspetti inesorabilmente il Pd cambia volto e diventa un’altra cosa. E cioè, per essere chiari, un partito leaderista, personale e a vocazione plebiscitaria. Una sorta di berlusconismo in salsa democratica. Che potrà anche essere elettoralmente vincente ma che sarebbe politicamente diverso rispetto a quello che abbiamo conosciuto dal 2007 in poi.
Ecco perché la futura dirigenza del partito, al di là degli slogan, del bombardamento mediatico, del supporto dei poteri che contano e della propaganda spicciola, su questo versante dovrà dire parole chiare e nette. E, soprattutto, dovrà avere dei comportamenti lineari e coerenti. Se si dovesse procedere con le spicciole emarginando politicamente e definitivamente tutti coloro che disturbano il leader carismatico, che credono nel pluralismo interno e che non sono in sintonia con il “nuovo corso”, le reazioni potrebbero essere imprevedibili e spiacevoli. Per tutti.

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