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mercoledì, 23 Ottobre 2024

Pd e vocazione maggioritaria, adesso si può

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

La recente manovra finanziaria varata dal Premier non è che l’ennesima conferma. Il Pd punta direttamente e concretamente a realizzare il progetto che Veltroni lanciò a Torino Lingotto presentando la carta di identità del Partito democratico: e cioè la vocazione maggioritaria del principale partito italiano. Una vocazione maggioritaria che, del resto, ha ricevuto una sua concreta legittimazione alla recente consultazione europea e che adesso, con le linee politiche contenute in una importante legge di stabilità, riceve la sua consacrazione ufficiale. Una legittimazione politica che adesso attende anche la sua traduzione con il nuovo sistema elettorale che non potrà che essere di impronta maggioritaria funzionale al bipolarismo e alla democrazia dell’alternanza. Del resto, la democrazia dell’alternanza non è una novità della seconda repubblica o della attuale stagione politica: già con la Dc era in vigore tacitamente, seppur con un secco sistema elettorale proporzionale, una democrazia dell’alternanza. Il Pci e la Dc non governavano insieme. Certo per la politica dei “blocchi” di quel tempo ma comunque c’era una alternatività politica, programmatica e di governo che non poteva convergere in una alleanza organica e compiuta.
Ma, per restare all’oggi, è indubbio che anche questa fase deve essere al più presto chiusa e archiviata. E cioè la stagione di governi retti da partiti che sono il pilastro del centro sinistra con una spiccata vocazione maggioritaria come il Pd, alleati con partiti che puntano, seppur un po’ comicamente, ad essere i protagonisti del futuro centro destra come il Ncd. Una fase confusa, appunto. Che registra anche alleanze trasversali, se non politiche, con partiti che dovrebbero essere, almeno sulla carta, alternativi a livello politico e programmatico come Forza Italia. Insomma, una stagione politica, quella attuale, che stride con la prospettiva che attiene al cammino futuro del Partito democratico.
Certo, in Italia la politica è sempre stata sinonimo di “politica delle alleanze”. Dal secondo dopoguerra degasperiano al primo centro sinistra di Moro e Nenni, dalla solidarietà nazionale alla stessa confusa e travagliata seconda repubblica, le alleanze politiche sono sempre state centrali nella costruzione dei vari governi nazionali. Il tutto sempre condito dal profondo rispetto del pluralismo che ha sempre contraddistinto la società italiana ma anche dalla confusione e dal “potere di veto” che molti partiti hanno sempre esercitato man mano che il confronto sulle scelte di governo entrava nel vivo. Ora, con l’avvento alla segreteria nazionale del Pd di Matteo Renzi e alla contemporanea ascesa a Palazzo Chigi, il disegno annunciato da Veltroni al Lingotto nell’ormai lontano 2007 si può trasformare in un reale progetto politico. Il peso elettorale da un lato maturato dal partito e la sua progressiva capacità di rappresentanza sociale, culturale e territoriale pongono le premesse decisive per consolidare compiutamente la cosiddetta “vocazione maggioritaria”. Che, tra l’altro, è perfettamente compatibile con un impianto istituzionale ed elettorale di carattere maggioritario, bipolare e ispirato ad una trasparente democrazia dell’alternanza.
È addirittura scontato sottolineare che per centrare questo ambizioso obiettivo serve, però,  un Pd largo, rappresentativo, plurale e unito. So che questo richiamo può apparire un po’ desueto e un po’ retorico. Ma è indubbio che la vocazione maggioritaria la si può ottenere solo e soltanto con un partito fortemente rappresentativo e convintamente unito. Del resto, sarebbe curioso, nonché singolare, se il Pd puntasse a questo risultato politico con una dialettica quotidiana che alterna tentazione scissionistiche e volontà di censurare il dissenso. E il fallimento della vocazione maggioritaria, nel passato recente come in quello meno recente, è da addebitare proprio ad una eccessiva “dialettica” all’interno del partito principale. Una dialettica certamente salutare ma difficilmente compatibile, appunto, con una forte unità ed autosufficienza del partito stesso. Di qui, del resto, la necessità – almeno sino ad oggi – di stringere alleanze politiche con partiti anche con piccole dimensioni elettorali ma decisivi per garantire la governabilità dello stesso sistema politico.
Comunque sia, normalmente in politica tutto si tiene. E la vocazione maggioritaria del Pd non è che l’approdo finale di un percorso a tappe, di cui l’attuale legge di stabilità non è che un tassello. Ecco perchè stavolta, forse, si può centrale l’obiettivo.
 

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