Martedì sera, di fronte a un folto pubblico (tutti i posti esauriti) l’orchestra e il coro del Teatro Regio, diretti da Gianandrea Noseda, hanno inaugurato la stagione lirica con un’opera tarda di Shakespeare (la penultima della sua lunga carriera), Otello.
Opera che debuttò alla Scala nel 1887, dopo ben sei anni di silenzio del compositore, l’Otello si articola in quattro atti poggiando sul pregevole libretto di Arrigo Boito, che adattò alle scene musicali la tragedia scritta da William Skakespeare, in Inghilterra, nel 1603 (la prima esibizione di prosa fu a Londra nel 1604). Più serrata del dramma originario (di cui Verdi e Boito eliminarono il primo atto), la versione operistica spicca anche per il ridimensionamento drammatico e psicologico dell’importante figura di Jago, la cui ambigua e sofisticata malignità fu in qualche modo il centro degli studi letterari e filosofici sull’opera shakespeariana.
Proprio l’interpretazione di Jago, impersonato dal baritono Ambrogio Maestri, ha ottenuto i più convinti applausi, subito dopo quelli tributati al pur bravo Gregory Kunde (il tenore che ha impersonato Otello; ma forse sono stati più durevoli perché, nell’armata veneziana, era più alto in grado).
Come di consueto, gli intervalli della prima cittadina sono stati occasione per centinaia di notabili torinesi per esibire una serie di doppiopetti neri, mentre non poche signore hanno colpito per le proprie mise audaci, quando non francamente improbabili.
Una claque ben distinta, formata da una decina di persone, ha anche messo in scena una rapida quanto visibile contestazione al regista quando questi, al momento dei ringraziamenti, è salito sul palco. Secondo indiscrezioni la ragione sarebbe stata una regia ora eccessivamente eccentrica, ora eccessivamente realistica.
A ben vedere, invece, uno degli aspetti più pregevoli del lavoro del regista Walter Sutcliffe è stata proprio la scena iniziale, in cui alcuni turchi vengono fatti prigionieri dall’esercito veneziano e selvaggiamente pestati. Un voluto riferimento allo scenario di guerra che circonda la tragedia, ripreso anche dalla scarna, e a dire il vero non eccelsa, scenografia di Saverio Santoliquido, composta di muraglioni semoventi che, anziché essere composti da mattoni, era formata da sacchi di sabbia. Le luci girate da Reiner Casper hanno accompagnato le scene evolvendo dal celeste iniziale al rosa, quindi al bianco e un verde tenue.