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Papa e Papamobile al seguito (IV)

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Scritto da Vittorino Merinas

 

Stando all’esultanza dei papi e dell’ambiente ecclesiastico che li circonda alla conclusione d’ogni loro viaggio, non resterebbe che pensare ad una loro copiosità di frutti: fede rafforzata, espansione della chiesa nelle aree di missione, boom di nuovi adepti a scapito dei movimenti evangelici. Nulla di tutto questo: nessuna segnalazione d’un’accentuata frequenza ai sacramenti o di conversioni dopo le visite papali. Al contrario, le chiese evangeliche continuano a svilupparsi, mentre non rallenta la diaspora da quella cattolica, in aumento anche in America latina, un tempo quasi in assoluto cattolica, Argentina compresa nonostante un suo cittadino, che a tutt’oggi non l’ha ancora visitata, sieda sul seggio di Pietro. Sarà amaro evidenziarlo, ma ciò che spesso resta a memoria dei passaggi pontifici sono i debiti da saldare delle diocesi interessate.

Chiudere, allora, la breccia delle mura leonine da cui, da qualche decennio, evadono per brevi tours apostolici i “Santopadri”? Non è questo il problema, quanto piuttosto il modo in cui essi si svolgono, tanto più stridente per un’istituzione che vanta radici evangeliche ed è presieduta da chi si dichiara nei documenti pontifici “Servo dei servi di Dio”. Una dichiarazione già in sé contraddittoria ed un compito non da poco, oggi destinato ad un uomo che ha sfidato se stesso assumendo il nome dell’assisiate denudatosi d’ogni bene terreno per vivere in umiltà e povertà, virtù evangeliche da tempo piuttosto dimenticate. Stupisce che il Francesco papa, che nella quotidianità si sta dimostrando all’altezza della sfida, non percepisca l’incoerenza di quella modalità missionaria che di apostolico ha ben poco. Un’occasione da lui persa?

Eppure la sua capacità di reinventarla si può cogliere nella forma privata da lui adottata, fin dall’inizio del suo pontificato, per muoversi in Roma o in luoghi limitrofi, senza spettacolarità e codazzi vari, con decisioni subitanee per incontri personali o visite in qualche “periferia” dove sono accantonati, soffrono e lottano quotidianamente per campare gli scarti della società. Perché non estendere questo stile, che già fu del suo predecessore Pietro, ad un tempo riservato e dal carattere più evangelico per manifestare la propria vicinanza alle chiese sorelle disseminate nel mondo? Certo dovrebbe affrontare l’opposizione della “corte” vaticana e della gerarchia incollate al baculum dell’orgoglio e del potere. Impensabile per cortigiani e gerarchi d’altri tempi cui più volte ha dimostrato di non voler appartenere, che un papa, sovrano e vicario di Cristo, possa viaggiare in incognito. Quando nel suo primo viaggio Francesco salì la scaletta dell’aereo portandosi la borsa con gli effetti personali, molti pensarono che fosse la premessa e la promessa d’un profondo cambiamento nel modo di interpretare il ruolo papale. Un’immagine che assieme al nome assunto del poverello d’Assisi, che col suo esempio sperava di convertire il papato all’originaria semplicità, fu vista come l’avvio di quell’opera, a cominciare dai viaggi nei quali il culto del “Santo Padre” soverchia le originali finalità. Perché non renderli aventi intra-ecclesiali, senza corte, guardie del corpo e giornalisti al seguito? Un papa che sale come un comune passeggero su un aereo di linea con biglietto pagato di tasca propria -Bergoglio che, appena eletto, va di persona a saldare il conto dell’alloggio dove aveva soggiornato!- atteso da comunità che tutto gli forniranno senza impegnare o infastidire governi e forze di polizia e senza dissanguarsi per organizzare spettacolari adunate di autocelebrazione ed autocompiacimento. Comunità che potranno serenamente dialogare con lui, renderlo partecipe della propria situazione senza infingimenti, riceverne suggerimenti e sostegno, mettendo fine a fuggitive, emozionali apparizioni falsificanti l’effettività delle chiese locali.

Una conversione impossibile? Certo al momento assai improbabile. Il fatto che Francesco non ne abbia avvertito il bisogno conferma che il modo di questi viaggi si è già stabilizzato e non crea fastidio o problemi. Del resto, gloria, ricchezza e potere hanno ben presto contagiato una chiesa chiamata al servizio. Certo in tutt’altre dimensioni da quelle attuali, ma disfarsene sembra impresa tuttora impossibile, quasi scalfisse dogmi o destabilizzasse l’istituzione. Ci si dovrà accontentare d’un Francesco con borsa alla mano, ma promessa mancata? Perché non tentare ancora l’impresa nel tanto agognato viaggio in Cina che sembra profilarsi all’orizzonte, abbandonando trombe e grancasse, anche perché colà non è gradita la presenza di concorrenti al potere?

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