E’ certamente una notizia che sorprende quella che la giustizia della Santa Sede sia pronta, dopo 40 anni, ad avviare indagini su Emanuela Orlandi. La quindicenne, cittadina vaticana, sparita nel nulla il 22 giugno 1983.
Iniziativa avviata dal promotore di giustizia Alessandro Diddi, a poche ore dalla morte del Papa emerito e dopo gli attacchi rivolti esplicitamente a Bergoglio da parte di padre Georg Gänswein.
Una casualità? Non pare proprio.
Un Bergoglio che, non a caso, ha in questi giorno parlato del grave pericolo portato da pettegolezzi e false notizie (fake), presenti anche in
Vaticano. Un luogo in cui le guerre tra fazioni non sono mai mancate, tanto meno oggi.
Dopo la richiesta di costituire sui casi Orlandi, Gregori e Cesaroni una Commissione d’inchiesta parlamentare, ora anche la giustizia vaticana sorprendentemente si muove, rompendo il silenzio imperante Oltretevere su questa vicenda.
Insomma i tempi in cui il cardinale Angelo Becciu dichiarava (2017): “per noi è un caso chiuso”, potrebbero essere finiti. Ma sarà proprio così?
“Non posso non essere contento e vedo il bicchiere mezzo pieno” commenta Pietro Orlandi, sul gruppo Fb Petizione Emanuela Orlandi, e aggiunge: ”L’apertura di un’inchiesta in Vaticano sul rapimento di Emanuela, se fatta veramente con la volontà e l’onestà, di fare chiarezza una volta per tutte, potrebbe durare pochissimo. Non sarebbe necessario fare lunghissime indagini perché la Verità già la conoscono”. Orlandi ha anche invitato a partecipare all’iniziativa di sabato 14 gennaio alle 16.30 a Largo Giovanni XXIII per ricordare Emanuela.
Certo le premesse quarantennali non lasciano ben sperare, anche se l’apertura del caso giudiziario in Vaticano, (con riesame di carte e il possibile ascolto di testimoni su una vicenda in cui sono continui depistaggi e presenza di barbe finte), non parte certo da zero. Questo per numerosi indizi provatori, emersi anche recentemente, piste e situazioni da approfondire, che potrebbero trovare riscontri nella reale volontà e si presume negli ampi margini di azione di figure autorevoli come il presidente del tribunale vaticano Giuseppe Pignatone e il citato Alessandro Diddi e non solo. Potrebbero certo, anche se incognite e dubbi permangono specie per il troppo tempo nascosto.
Insomma qualche colpo di scena potrebbe forse essere in arrivo dalla Santa Sede come frutto, più che dalla ricerca della verità (rimasta viva nei decenni solo per le instancabili iniziative pubbliche di Pietro Orlandi), di una sorta di regolamento dei conti nell’ambito dalla nuova guerra in atto, senza esclusione di colpi, tra l’anziano Papa Francesco e l’ala ultra tradizionalista e conservatrice, con sponde nell’America trumpiana e in quella galassia complottista che costantemente lo prende di mira. Una realtà che ha fatto di Ratzinger, nolente o volente, il proprio emblema.
Un quadro torpido, in cui si inserisce la anche la scomparsa di un’altra quindicenne: Mirella Gregori. Sparita il 7 maggio 1983, in una vicenda che si ritenne legata a pressioni sul Presidente Pertini riguardanti l’attentatore del papa Ali Agca.
Più volte Pietro Orlandi ha bussato inutilmente alle porte della Santa Sede richiedendo incontri e riscontri in questi decenni. Un lungo silenzio interrotto dalle voci su contatti diretti tra l’ex procuratore Giancarlo Capaldo e alcuni emissari di Papa Ratzinger che, nel 2012, sarebbero stati pronti a fornire notizie sul caso Orlandi (anche su dove si trovasse il corpo della ragazza), animati dalla principale preoccupazione di uscire, in modo soft, da una situazione di disagio che lasciava e lascia il Vaticano al centro di accuse e sospetti.
Emissari che parevano disposti ad aprire sul caso Orlandi in cambio di una rapida e indolore soluzione che mettesse fine all’imbarazzo generale creato dalla diffusione della notizia che il boss della Banda Magliana, ucciso nel 1990 a Roma, fosse stato incredibilmente sepolto nella basilica di Sant’Apollinaire. In questa struttura, diretta dall’unico ecclesiastico indagato, don Piero Vergari, De Pedis era di casa e un giovane Oscar Luigi Scalfaro aveva il suo ufficio.
Un boss, Renatino, che era a tutto tondo entrato nelle grazie di alcuni cardinali (vedi foto con Poletti e tanto di brindisi) per i suoi servizi qualificati e riservati, che non avevano più nulla a che fare con la mano grezza e violenta della Magliana delle sue origini.
Purtroppo quel “le faremo sapere”, che sarebbe stato pronunciato al magistrato dagli emissari del Papa, non ha poi avuto alcun seguito. A quanto pare quegli emissari non sembrarono per nulla turbati del fatto di parlare di una ragazza sparita e molto probabilmente uccisa. Ricordiamo che dopo, nel 2015, il caso Orlandi, dopo decenni di diverse indagini, fu archiviato per decisione del Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone. Magistrato che, dal 3 ottobre 2019 è diventato presidente del Tribunale del Vaticano.
Quel Pignatone che sollevò una polemica, verso il suo ex predecessore Giancarlo Capaldo, per non essere stato informato sulla misteriosa trattativa con gli emissari di Ratzinger. Trattativa che finì pure nel finale del film di Roberto Faenza “La verità sta in cielo” (2016).
In realtà Capaldo non risultò mai ufficialmente interpellato per conoscere chi fossero quei due emissari papali e sulla presenza di altri soggetti in quegli incontri, oltre ad eventuali registrazioni, possibilità sibillinamente ricordata dall’ex magistrato che tanto si impegnò con passione per sbrogliare una gigantesca matassa giudiziaria che continua a crescere.
Diverse sono state le iniziative della famiglia Orlandi presso la Santa Sede per avere notizie su questi incontri e su quel dossier su Emanuela che sarebbe stato visto nel 2012 sullo scrittoio del teologo Georg Gänswein.
Figura ritornata al centro delle polemiche per gli attacchi a Bergoglio presenti nel suo libro di memorie (Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI), uscito dopo la scomparsa del Papa tedesco di cui, dal 2003 al 2005, fu segretario personale, per poi restare costantemente suo referente principale. Un referente che accese, per il suo bell’aspetto, le attenzioni generali per quello che veniva definito il George Clooney del Vaticano.
Per la famiglia Orlandi dopo decenni di porte chiuse, bocche cucite e nessun interesse ad approfondire o affrontare il caso in Vaticano, qualcosa di significativo si è ora mosso. Questo in un luogo in cui fare un solo cenno o avere un’immagine di Emanuela sulla scrivania è stato sempre stato visto come assolutamente sconveniente, come riferisce da tempo il fratello di Emanuela, entrambi cresciuti in quella realtà.
Ma ora che succede? Di sicuro l’apertura delle indagini della magistratura vaticana rappresenta una sorta di svolta, un passo importante e significativo dopo decenni di silenzi. Ma dopo tante delusioni, presunte piste, testimonianze sconvolgenti, con innumerevoli mezze verità e versioni che si fermano sempre sul più bello, cosa ci si potrebbe ancora aspettare?
Come detto si ipotizza che, dietro questa iniziativa giudiziaria, vi sia una mossa legata a Papa Bergoglio che potrebbe rientrare, oltre che in una tardiva ma auspicabile ricerca della verità, in una sorta di “decisa risposta” a quei continui attacchi che gli piovono sempre più addosso dai suoi feroci detrattori ultraconservatori che lo dipingono come un sacrilego usurpatore e un anticristo che intende distruggere una Chiesa già in grossa crisi, che i tradizionalisti invece intenderebbero salvare con la messa in latino, chiudendo a ogni discorso di rinnovamento e di ecumenismo. Bergoglio si è sempre dimostrato un pontefice di pace, di dialogo e di grande empatia a livello popolare, che però non sembra essere riuscito a rinnovare la Chiesa secondo le attese. Tuttavia, sul piano interno, Papa Francesco non è parso mai tenero con chi è andato fuori le righe.
Dopo tutto in questa vicenda gli equilibri dentro il Vaticano pesano e non poco. Non a caso un personaggio chiave come Marco Fassoni Accetti, il fotografo che si autoaccusò del sequestro, si decise a consegnare il flauto di Emanuela solo nel 2013, ovvero dopo che Bergoglio salì sul soglio di San Pietro.
Ma perché proprio ora, quando si sta quasi per arrivare a 40anni dalla scomparsa di Emanuela, il Vaticano si mostrerebbe disposto a dare ascolto alle reiterate istanze della famiglia, in particolare di Pietro e della legale Laura Sgrò, aprendo le indagini? Di certo permane la volontà di uscire o di non essere toccati, se non marginalmente, da un caso a dir poco imbarazzante che non accenna a sgonfiarsi. Un caso che, oltre a trovare radici nell’attentato a Papa Wojtyla del 1981, è diventato particolare per quel codice 158. Il numero della linea telefonica subito attivata dalla Santa Sede per comunicare con i rapitori di Emanuela. Un incipit alquanto significativo ed emblematico sul ruolo del Vaticano come interlocutore primario nella vicenda. Questo mentre diversi servizi, a partire da SISMI e SISDE e anche stranieri (francesi), risultano entrare a vario titolo nella vicenda, anche se a volte solo per fini meramente speculativi.
Sul piano mediatico hanno molto colpito le registrazioni delle telefonate, precedute dal vociare delle suorine allarmate , in cui misteriosi soggetti interloquivano con il cardinale Casaroli. Uno scenario quanto mai valido come avvicente incipit di un serial su un cold case.
Purtroppo il caso Orlandi, anche se mediaticamente di grande impatto, rimane soprattutto un caso umano di sofferenza e non un serial tv. Ma ora che il Vaticano si prepara a studiare le carte delle vecchie indagini ci si chiede: Ci saranno finalmente concreti sviluppi?
Sono molti gli aspetti e gli episodi che potrebbero essere chiariti da verifiche interne, andando oltre angeli indicatori, tombe teutoniche, ossari, interpellando e verificando protagonisti e mandanti. Questo partendo da quegli strani spostamenti, oggetto di alcuni eloquenti SMS del 2014, scambiati in Vaticano tra persone vicine a Papa Francesco (secondo quanto sostiene con assoluta certezza Pietro Orlandi). Discorsi che riguarderebbero documenti, vestiti o anche il corpo di una sfortunata ragazza, scomparsa nel fiore dei suoi anni, finita nel buco nero di un complesso gioco di ricatti. Insomma in quei messaggi è evidente che le comunicazioni riguardino Emanuela Orlandi.
Sono diversi gli episodi, le prove e testimonianze emerse in tanti anni. Oggi, in questo nuovo contesto, l’autorevolezza dei promotori delle indagini dovrebbe lasciare meno spazio al rischio insabbiamenti. “Una indagine che dovrebbe essere velocissima” ha commentato Pietro Orlandi.
Insomma, anche se molti dei protagonisti, noti o occulti, della vicenda, non ci sono più o risultano ormai più che canuti, qualche margine di verità potrebbe finalmente emergere nell’ambito di quello che sostanzialmente rientra in uno scontro tra fazioni. Uno scontro che in Vaticano non si è mai spento.
Una partita estremamente interessante che resta viva, oltre che per il perdurante interesse mediatico anche sovranazionale sulla vicenda, per la solidarietà di tanti cittadini indignati vicini alle iniziative di Pietro Orlandi.
Certo questa svolta vaticana implica una sottile ammissione sul fatto che, oltre quelle mura Leonine erette da Leone IV nel nono secolo, vi sia chi sa e tace.
Un quadro che potrebbe in qualche modo rompere quel muro di silenzio che fece seguito ai diversi appelli in mondo visione lanciati da Papa Wojtyla, a partire da quell’Angelus di domenica 3 luglio 1983. Quel Wojtyla protagonista di quel giro di fondi, anche sporchi, donati al sindacato polacco Solidarnosc, attraverso lo Ior di Marcinkus e il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Fondi che contribuirono non poco a creare quelle prime serie crepe che portarono al tracollo del blocco sovieticoe che potrebbero essere stati all’origine di un gioco di ricatti senza scrupoli che, in un contesto di diverse piste che si sovrappongono, hanno portato alla sparizione di Emanuela e di Mirella.
In conclusione riportiamo l’invito di Pietro Orlandi a partecipare sabato 14 gennaio alle 16.30 a Largo Giovanni XXIII per ricordare Emanuela.