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domenica, 8 Settembre 2024

Noi non siamo Charlie Hebdo

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

La spaventosità dell’attentato nella redazione del Charlie Hebdo non si discute. Un atto micidiale contro la libertà di stampa, critica e satira, della quale molti si dicono sostenitori, per quanto a corrente alternata, cioè quando politicamente conviene. Da ieri pomeriggio, immediatamente dopo l’assalto, ha cominciato a ribollire il pentolone della narrazione, dell’analisi e della condanna, quindi della ferma presa di posizione di politici, giornalisti e altri comuni mortali. Tra agenzie di stampa e cinguettii di Twitter, è stato generato il novello e liquido “soggetto” del bene contro il male: “Je suis Charlie!”. La libertà (dell’Occidente) contro il fondamentalismo (dell’Islam), retoricamente questa è la risultante. Nelle trasmissioni radiofoniche, negli editoriali al veleno e negli speciali televisivi è spesso spuntata sulla scena il nome di Oriana Fallaci, definita come “una visionaria” alla luce di quel che oggi sta accadendo. Quindi: il bene che si contrappone al male, attraverso l’odio, senza però diventare attore della malvagità, perché il fine è legittimato dalla bontà. Ma è proprio così? Tra qualche inoppugnabile contraddizione e diverse forzature ideologiche, il dubbio schiera il suo nutrito reggimento di interrogativi.
Quel che è accaduto a Parigi riporta il pallino attorno al nodo della guerra, nella sua indubbia complessità, così come al cuore dell’incompiuta integrazione della modernità europea con quel che avviene al proprio interno o poco più in là. Non ci si può accontentare della singolarità dell’evento, drammatico, avvenuto ieri al Charlie Hebdo per sfoderare sentenze: se da una parte non si può negare nella maniera più assoluta la gravità dell’attentato, dall’altra non si può spiattellare con tanta sicurezza e superbia il perché e il per come questo è avvenuto, paventando previsioni e recitando moniti. L’arte della riflessione e del dubbio risulta amaramente sconfitta dallo shock dell’annuncio e del verdetto. “È la comunicazione, bellezza”, possiamo riadattare così il noto aforisma. Il motto “Je suis Charlie” è diventato mediatico brand, perdendo la sua naturalezza in poche ore, trasformandosi in uno steccato di frontiera: o con noi o contro di noi. Un lavoro ardito dalla comunicazione politica, dalle scelte editoriali dei media, che hanno fatto abbastanza unitariamente barriera contro il nemico identificato con l’Islam che minaccia il civilizzato Occidente. La miglior riprova di ciò la si è avuta, stamattina, guardando le prime pagine dei quotidiani italiani. Da aggiungere c’è poco altro, la veemenza delle parole è sufficiente per capire che c’è qualche cosa che non va.
Noi non stiamo con Charlie se questo vuol dire applaudire Matteo Salvini quando grida “stop invasione” e ignorare la ragione politica e umanitaria degli sbarchi a Lampedusa, approvare Maurizio Gasparri che vuole dichiarare una nuova guerra e non considerare i danni provocati delle scellerate scelte geopolitiche assunte dal “partito della guerra permanente” (Iraq, Siria, Libia, etc), ripescare Oriana Fallaci per fare una crociata contro i musulmani e dimenticarsi il sangue che è stato sparso in nome di altre sacralità ai quattro angoli del mondo (si ricordi la strage fatta ad Oslo dall’ultra-cattolico Anders Breivik il 22 luglio 2011, per esempio). “Je suis Charlie” è un’altra zattera mediatica per traghettare la crisi verso altrove, per celare quanto i governi d’Europa si siano fin qui dimostrati non all’altezza, per riempire un vuoto sistemico non dipendente dai flussi dell’immigrazione ma, quanto mai, dal rovesciamento sclerato di una guerra nella quale tutti sono destinati a perdere? Se è così, allora noi non stiamo con Chiarlie Hedbo, preferiamo spendere le nostre energie e il nostro tempo, il nostro lavoro, per mettere nello zoom questi lupi solitari o in gruppo, d’Oriente e d’Occidente, figli di una mondialità che adopera il vessillo della libertà per fare la guerra ed esasperare l’ardore della religione per detonare la bomba della blasfemia.

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