Non è necessario essere esperti di politica internazionale per capire che da questa mattina a Parigi, intorno al tavolo dei potenti occidentali insieme ai rappresentati di alcuni Paesi arabi possibilisti, si sta giocando una partita complicatissima dal cui risultato potrebbe dipendere il futuro prossimo neppure troppo lontano dell’intera umanità.
Le guerre di religione (dietro le quali si nascondono in realtà interessi che di religioso hanno poco o nulla) sono state sempre devastanti per le società civili sin dai tempi delle Crociate. Un tempo, però, massacri assortiti e devastazioni di ogni tipo avvenivano e si consumavano negli spazi geografici dove il conflitto era più caldo. Oggi, per ragioni comprensibili anche dai bambini delle scuole elementari, l’esplosione di una guerra “lontana” scatenerebbe per effetto domino una serie di deflagrazioni periferiche praticamente immediate.
Insomma, per essere chiari, l’effetto dei bombardamenti sull’Iraq previsti dagli Usa e dai suoi alleati per tentare di annullare la follia jihadista non tarderebbe a farsi sentire anche qui da noi. Basta osservarsi intorno, andando in giro in alcuni quartieri delle nostre città e in particolare quelle del Nord dove l’immigrazione è stata più massiccia e ora addirittura integrata. Quartieri cinesi, africani e naturalmente arabi laddove, in questi ultimi, il virus della Jihad più oltranzista circola circola, seppure silente, in modo pesante in coloro che sono nati e allevati sotto l’ombrello dell’Islam più ortodosso. E dunque chiaro che un’eventuale escalation militare nelle zone nevralgiche di questo scontro epocale provocherebbe, quasi certamente, effetti collaterali drammatici non solo alle porte di casa nostra ma addirittura dentro. L’Iraq, insomma, non è poi così lontano. Non si tratta di allarmismo, ma di realismo. L’unica è augurarsi che il “terrore dei califfi” possa venir annullato in loco e anche molto in fretta.