Qualche giorno fa, confrontando la vecchia e la nuova amministrazione comunale, un noto commentatore delle vicende torinesi mi ha detto «almeno voi sapevate usare le forchette».
Ecco, la vicenda dell’auto di servizio che accompagna il vicesindaco parcheggiata in uno spazio riservato ai disabili mi ha fatto tornare in mente quella osservazione: prima di dimostrare se sanno ben governare la città ci hanno già fatto intendere che non sanno stare a tavola.
E la pezza, come sempre, è peggiore del buco.
Il fatto che il vicesindaco si sia affrettato a dare la colpa dell’accaduto all’autista comunicando che «non sono io il responsabile» conferma che non solo non sanno usare le forchette ma che nemmeno conoscono le buone maniere.
E lui dov’era? Non ha visto la evidente segnaletica orizzontale? Ma non lo sa che nella coscienza dei torinesi non c’è autista che tenga, urgenza che tenga, distrazione che tenga di fronte ad un posto riservato ai disabili? Il problema però è capire se si è trattato di uno scivolone (e a quel punto bastava semplicemente chiedere scusa) o se si tratta di qualcosa di diverso, di sistemico.
In cinque mesi abbiamo assistito ad un’assessora all’istruzione che si sarebbe fatta passare per madre single al fine di pagare di meno le prestazioni scolastiche, ad una consigliera che da anni non avrebbe pagato l’affitto della casa popolare e adesso nientemeno che al vicesindaco che non rispetta un divieto e poi dice «non guidavo io».
Questo dimostra che, per governare, l’intransigenza bisogna applicarla innanzitutto a se stessi.
E che adesso non si scateni la curva per difendere l’indifendibile. È capitato, i consiglieri di opposizione accorgendosene e segnalandolo hanno fatto il loro mestiere, i giornalisti raccontandolo pure. Sta al nuovo gruppo dirigente che ha la responsabilità di guidare (nel vero senso della parola) questa città capire che la forma è anche sostanza, che in quanto governanti ci si aspetta da loro un comportamento cristallino e che potrebbero incominciare, anziché a gridare al complotto e a comportarsi come capi ultras, a chiedere scusa e a rispettare le regole.