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venerdì, 18 Ottobre 2024

La cultura è lavoro: la protesta del settore dello spettacolo in piazza Castello

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Rosanna Caraci
Rosanna Caraci
Giornalista. Si affaccia alla professione nel ’90 nell’emittenza locale e ci resta per quasi vent’anni, segue la cronaca e la politica che presto diventa la sua passione. Prima collaboratrice del deputato Raffaele Costa, poi dell’on. Umberto D’Ottavio. Scrive romanzi, uno dei quali “La Fame di Bianca Neve”.

Lo sottolineano con forza sarte, parrucchieri di scena, attori, musicisti, tecnici del suono, gestori di luna park, mimi, circoli Arci, ballerini e scuole di danza: tutti coloro che ogni volta muovono dal palcoscenico verso il pubblico un prodotto culturale profondo e fondamentale per l’anima, certo, ma anche un esercito di lavoratori che dall’ultimo Dpcm del Governo per il contenimento del Covid esce con le ossa a pezzi e in forte difficoltà economica.

Si sono dati appuntamento in piazza Castello, con i sindacati di categoria, tra il Teatro Regio e la Prefettura, e c’è tutto il comparto dell’arte e dello spettacolo che reclama attenzione. Un fiume di lavoratori colorati, sorridenti eppur arrabbiati. “Nè sussidi né bonus ma reddito” sottolineano dal palco. “Se vi abbiamo fatto divertire, da domani vi faremo paura – dice Nicolò Libener, tecnico del suono e di registrazione, membro del Coordinamento lavoratori e lavoratrici dello spettacolo del Piemonte – . Vogliamo forme di sostegno certe e strutturate, se ci impedite di lavorare, per motivi che ben comprendiamo, dovete garantirci un reddito. Non siamo diversi dagli altri, abbiamo famiglia, abbiamo spese da sostenere. La cultura è lavoro, non siamo solo divertimento e svago”. Vogliono che la Regione mantenga la parola data, pubblicando il bonus per i lavoratori dello spettacolo intermittenti, subordinati e parasubordinati, “fino ad oggi dimenticati”.

E sottolineano in un volantino “ora che l’autunno è arrivato vediamo che le uniche a non essersi concretamente preparate sono le autorità pubbliche: protocolli firmati ma non attuabili, trasporti in tilt, un sistema sanitario sul quale non è stato fatto il minimo investimento”.

Dello stesso coordinamento parla Francesca Tassottana: “Noi siamo in crisi da anni, per lo Stato non siamo essenziali. Non esiste un protocollo nazionale che si preoccupi della sicurezza di chi sul palco ci va, per lavorare, per chi lo vive”. L’emergenza sanitaria porta dunque alla luce le criticità di un sistema che era già caratterizzato da precarietà, mancanza di tutele e investimenti assenti o mal ripartiti dallo Stato, nonostante il settore produttivo culturale e creativo, di cui lo spettacolo dal vivo è arteria importante, contribuisca al 17 per cento del valore aggiunto del Paese per un totale di quasi 250 miliardi di euro. 

I sindacati chiedono tra l’altro un reddito di continuità a elargizione immediata, un piano straordinario sulla ripartenza del settore, l’estensione delle tutele di maternità, malattia e indennità agli autonomi, il riconoscimento della Naspi e della copertura Inail anche ai lavoratori autonomi dello spettacolo, insieme a un cambio di rotta nella visione politica culturale che veda la trasformazione dei criteri di investimento.

Massimo Piccaluga, presidente dell’Associazione Nazionale Esercenti Spettacoli Viaggianti e Parchi lamenta una condizione insostenibile. “Il Dpcm ha bloccato, tra molte altre, le attività del Luna park autunnale del Parco della Pellerina. Si chiude così un punto di incontro importante per ragazzi, famiglie che in un contesto quale il nostro avrebbero potuto avere la possibilità di intrattenimento senza correre il rischio di assembramenti, perché i nostri viali hanno una larghezza tale da consentire le massime garanzie. Il luna park ha una funzione sociale che deve essere mantenuta>”. Le perdite economiche del settore sono state pressoché totali nel primo lockdown: “abbiamo ovviamente chiuso tutto e non si è guadagnato. Da giugno fino a quest’ultimo, abbiamo lavorato perdendo però rispetto all’incasso abituale più della metà”.

Preoccupante la situazione dei circoli Arci, che hanno dovuto chiudere per il Dpcm e che fanno un lavoro di comunità sul territorio importante. “Abbiamo detto più volte di essere consapevoli che l’emergenza epidemiologica non è terminata e che la salute è un bene primario – dice Daniele Mandarano, vicepresidente di Arci Torino ora ci troviamo davanti a provvedimenti che penalizzano fortemente l’associazionismo diffuso di promozione culturale e sociale. Chiudere le attività culturali, sociali e ricreative, chiudere anche di giorno i 4000 circoli Arci, antidoto alla solitudine e all’impoverimento culturale e materiale, rischia di essere per molti di loro un momento drammatico da cui non sarà facile rialzarsi”. Non solo, c’è la questione dei tanti circoli che, pur di mantenere aperto un canale di incontro con la cultura e l’arte hanno fatto ingenti investimenti. Riduzione di fatturato per la riduzione degli spettatori agli eventi, d’obbligo per il rispetto dei protocolli di sicurezza, acquisto di termoscanner, di gel, di pannelli di plexiglass. Tutto inutile. Si chiude la serranda ma resta la spesa fatta, e a questo punto il sapore amaro della beffa e del timore di non poter più riaprire.

La protesta non si ferma, e il 7 novembre i lavoratori dello spettacolo torneranno in piazza, alle 15, per chiedere reddito, tutele, diritti. Perchè la cultura e lo spettacolo vivono grazie al lavoro di professionisti che vogliono rispetto, che vogliono un progetto, che vogliono garanzie. Disposti a fare sacrifici ma non a essere dimenticati.

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