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mercoledì, 23 Ottobre 2024

Il requiem dei media nell'Italia che affonda

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Osservando il modo con cui i mass media affronatano l’attuale fase sociale e politica del nostro Paese, c’è da chiedersi quale significato abbia oggi il termine “politica”.
Secondo lo Zingarelli, che rimane uno dei pochi punti fermi della lingua italiana, la parola significa «la scienza e l’arte di governare lo Stato».
Implicitamente, parlare di politica comprenderebbe quindi anche la capacità di svelare i sistemi e le manipolazioni del potere, che dovrebbe gestire la cosa pubblica e non assogettare la popolazione alle proprie logiche.
In questi anni però la polis si è spostata nelle stanze del comando senza che questo abbia rappresentato complessivamente la benchè minima analisi critica. Ovviamente c’è chi lo ha fatto o almeno ci ha provato, ma questo riguarda una piccolissima parte del nostro settore di lavoro.
Il problema dell’Italia sembra essere solo Berlusconi, come se la cultura aziendalista e consumista, l’egoismo sociale o il ritorno a mentalità razziste e neo-coloniali non fossero dimensioni trasversali nella società.
Questa dinamica però è ancora più evidente in questi giorni. L’acquiescenza con la quale si accettano le dichiarazioni di Letta su un’improbabile ripresa economica o lo spazio che viene dato a scandalucci di palazzo, cozzano con una realtà sociale drammatica che viene schiacciata dai palinsesti.
Se,ad esempio, è ripreso dal nulla un forte movimento nazionale sulla casa è perchè ci sono migliaia di persone che l’hanno persa, ma questo interessa solo quando ci sono le manifestazioni nazionali o dove avvengono incidenti. In questi frangenti vengono inviati giornalisti che nulla sanno di questi movimenti perchè non li hanno seguiti, con il solo mandato redazionale di cogliere tensioni e fare differenze tra i “violenti” e i “pacifici”. Roba da anni Settanta e infatti questo modo di fare viene rispedito al mittente da chiunque venga intevistato.
Così però aumentano i solchi tra il paese reale e la comunicazione e questo è un pericolo, perchè una stampa che non è in grado di essere dalla parte del popolo, apre la strada ai peggiori scenari.
Il futuro delle dittature infatti non sarà il ritorno a improbabili Pinochet, ma l’accettazione silente di un sistema di controllo che si baserà sempre di più sull’ignoranza, il disinteresse e l’appiattimento culturale.
Forse solo un esito possibile, ma abbastanza per alzare la testa e ripensare al modo in cui si fa comunicazione.
 Paolo Sollecito

 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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