Scritto da Gabriele Richetti
Nei giorni che precedevano il Natale, nei secoli passati, in Piemonte come nel resto d’Italia, erano molte le rappresentazioni sacre aventi ad oggetto il Presepe e la Natività.
Come nella migliore tradizione partenopea, anche il Piemonte aveva un personaggio che, per antonomasia, era associato all’avvento del Natale, tanto da essere l’ispirazione per diversi modi di dire: si tratta del pastore Gelindo.
Già dall’inizio del mese di dicembre, quando ci si riferiva al Natale, nelle valli piemontesi si affermava sorridendo “A ven Gilind!”: il pastore era il protagonista di una sceneggiatura rappresentata su tutto il territorio, dalle montagne alla pianura: la divota cumedia. D’altra parte, questa notorietà derivava dal fatto che Gelindo, secondo la tradizione, sarebbe stato il primo uomo ad arrivare alla grotta della Natività. Mica male: un piemontese aveva avuto la fortuna di essere in prima fila alla nascita del Bambinello!
La rappresentazione si svolgeva un po’ ovunque, ovviamente in dialetto: nei teatri, certo, ma anche nelle parrocchie e persino nelle stalle.
Si trattava di una commedia semi-drammatica, dalle origini riconducibili al Monferrato del XVII secolo, e che vantava addirittura diverse versioni a seconda della zona in cui veniva messa in scena. Per gli interessati: ancora oggi la storia di Gelindo viene messa in scena in alcuni paesi delle Langhe.
La divota cumedia
Gelindo è un pastore bonaccione, poco istruito ma profondamente buono, che deve partire per il censimento che viene descritto nella Bibbia. La sua partenza è però continuamente ritardata da situazioni più o meno comiche: tra una dimenticanza e l’altra, dopo mille raccomandazioni alla moglie, finalmente riesce a lasciare il suo villaggio e a giungere, quasi per magia, a Betlemme. Lì incontra Giuseppe e Maria, e li aiuta a trovare un alloggio per la notte. Dopo diverse peripezie, nella più tradizionale commistione tra sacro e profano, Gelindo vedrà la cometa e capirà che la partoriente non era una ragazza qualsiasi. Si precipiterà così nuovamente alla grotta, per essere il primo a visitare il Bambino.
Gelindo viene solitamente raffigurato come una persona anzianotta, con un agnello in spalla, calzoni corti, giacca, zampogna e cesto al braccio: per intenderci, il pastore che, nei presepi viventi, è il primo fuori dalla grotta a rendere omaggio alla Sacra Famiglia.
Gelindo e i modi di dire che ha ispirato
A tal punto famoso nella tradizione piemontese da generare addirittura dei veri e propri modi di dire. Il termine “Gelindo” si usa per definire una persona semplice ma di buon senso; “Gelindo ritorna” significa “Di nuovo!”, perché il pastore piemontese dimentica sempre qualcosa, entrando e uscendo continuamente di scena; “A ven Gilind”, come detto nel titolo, sta ovviamente per “Arriva il Natale”; ancora, la “Pastorale di Gelindo” è la musica della Messa natalizia nelle parrocchie delle valli; e “Maffè”, dal nome del servitore di Gelindo, Maffeo, indica una persona un po’ ignorante e poco educata.
Immagini di un Piemonte antico: un immenso presepe innevato, nel quale in inverno, a passi lenti nella neve, si muovevano figure semplici ma buone, legate alla propria terra e alle proprie tradizioni.
Persone che erano capaci di lasciare i luoghi sicuri, le proprie stalle, le cucine riscaldate dalle candele, per seguire sogni e ambizioni dai sapori magici, senza mai dimenticarsi delle proprie origini. Proprio come Gelindo, il pastore piemontese.
Il pastore Gelindo
