La presentazione del 19esimo Rapporto Giorgio Rota sulla Città ha confermato, dati alla mano, lo stato di salute pessimo di Torino sotto diversi punti di vista.
Ricchezza e sviluppo sono al palo e in molti casi abbiamo addirittura un arretramento come ad esempio nel settore culturale e turistico. Tale realtà negativa dei dati emerge con forza se si comparano i risultati di Torino con quelli delle altre aree metropolitane italiane. Se ci si limita a guardare i numeri assoluti la negatività appare più sfumata e questo contribuisce purtroppo alla minore percezione che localmente hanno i torinesi della gravità della situazione e del suo peggioramento. Primi segnali di consapevolezza iniziano ad esserci ma ancora troppo limitati per una forte reazione collettiva e generale.
La situazione fotografata dal rapporto è piuttosto nitida. Ed è di crisi profonda e strutturale.
Due premesse.
La prima. Torino era in crisi di vocazione già prima dell’arrivo di Chiara Appendino del Movimento Cinque Stelle. I segnali, le avvisaglie erano già presenti, soprattutto per quello che riguardava la trasformazione del tessuto sociale e produttivo. Il modello di città del centrosinistra, che aveva toccato l’apice a cavallo dell’evento olimpico del 2006, non era più in grado, da solo, di rispondere ai mutamenti economici e sociali e avrebbe comunque dovuto essere modificato almeno in qualcuno dei suoi paradigmi di sviluppo e di collocazione nazionale e internazionale della città. Forse il più grave errore è averlo capito ma non essere intervenuti con la dovuta energia in modo collegiale ed efficace.
Nonostante questo però va dato atto che alcune scelte che sono state fatte si sono rivelate giuste e se oggi Torino non è ancora del tutto crollata lo si deve anche a quelle scelte. Tre su tutte: gli investimenti in cultura, le trasformazioni urbane a partire dalla Linea 2 della metro e la progettualità di Torino Città Universitaria.
La seconda. Torino ha elementi che la caratterizzano – e il rapporto Rota li evidenzia – che la rendono potenzialmente molto più competitiva di quanto sia adesso. Tale potenzialità, ancora inespressa, è però ancora troppo ancorata a logiche del passato ed è ingessata dalla mancanza di direzione che l’attuale amministrazione comunale, preda di veti interni e contraddizioni costanti, non riesce a imprimere. Manca ancora un cambio di paradigma sistemico della Città che sia pervasivo e diffuso non solo nei gruppi dirigenti ma nella “Città dei cittadini” largamente intesa che marginalizzi, anche nelle decisioni che contano, le contraddizioni di una politica asfittica e di basso profilo che oggi trova la sua somma espressione in alcuni (non tutti) componenti della giunta e nella maggioranza grillina (non tutta) del consiglio comunale della Città.
Le recenti “conversioni” dell’Amministrazione comunale sui grandi temi della Città che erano stati osteggiati e combattuti per anni, dalla linea 2 della metro al Parco della Salute, da sole non bastano se non sono davvero pervasive e sostenute in modo largo e diffuso anche da quel fronte politico che oggi è la maggioranza in Consiglio pur essendo minoranza nella città. E anche il continuo e costante sostegno politico e supporto operativo fornito dall’attuale vertice regionale fin dall’inizio a questa amministrazione comunale, anche se rispettabile, non si sta dimostrando efficace nel raggiungere i risultati attesi e nel colmare lacune culturali e progettuali che sono strutturali e che dovrebbero cambiare dall’interno del Movimento.
Ieri alla presentazione del rapporto la nostra sindaca Appendino ha perso una straordinaria occasione, l’ennesima, per iniziare a dare almeno la sensazione di una inversione di rotta.
Nel merito di quanto emerso ieri ha infatti dichiarato: «Bisogna riconoscere la forza economica di Milano, ma evitino scippi alle nostre eccellenze. Il loro atteggiamento talvolta aggressivo non aiuta la cooperazione tra le due città».
Ecco in queste parole, apparentemente un pò fuori contesto, il limite vero e strutturale dell’attuale amministrazione.
Partiamo da alcuni assiomi. Lo spazio si occupa se resta vuoto. L’aggressività e la competitività economica sono fattori della società di ogni epoca storica e di ogni area geografica. Non serve essere raffinati storici o economisti per verificarlo. Stupirsene o peggio, lamentarsene, denota un atteggiamento mentale remissivo e passivo che rende palese i veri due limiti strutturali, difficilmente emendabili, che segnano, dall’inizio, l’attuale amministrazione e ne caratterizzano i tratti anche sotto il profilo antropologico: l’irrazionalità incapace e l’immaturità.
Lamentarsi della aggressività di altri e attribuire a questa elementi di danno per la Città, peraltro evocati ma non declinati nel concreto, è innanzitutto irrazionale. È assolutamente fisiologico infatti che i sistemi competano tra loro. Lo fanno a scala intraurbana, figurarsi a scala geografica più ampia. Partendo dal presupposto che in politica come in economia lo spazio si riempie se viene lasciato vuoto, ci si interroghi piuttosto su come non lasciare lo spazio e a come occuparlo. Leggere oggi che per rendere competitiva l’area metropolitana di Torino sia ancora necessario affermare una cosa ovvia come la TAV e l’esigenza di non far rimanere la città il capolinea terminale ma strutturarla come stazione passante dei corridoi intermodali europei, la dice lunga sulla distanza siderale che separa le domande dello sviluppo dalle risposte che vengono date da una certa politica.
Di collegamenti TAV, per assurdo, dovremmo farne 5 o 6. Così come di linee di metropolitana, di grandi collegamenti infrastrutturali e forse a Torino non basterebbero ancora. Altro che continuare a parlarne. Significa non aver colto i fondamentali di quello che oggi, nella società contemporanea, serve alle città, Torino inclusa, per essere competitivi e attrattivi. Certo è che se il vertice dell’Amministrazione comunale di Torino invece che avere questa visione sull’impiego virtuoso del denaro pubblico esulta perché si fanno 10 miliardi di nuovo debito per dare il reddito di cittadinanza mi pare che siamo distantini proprio nei fondamentali.
Il secondo strutturale limite è l’immaturità. L’atteggiamento tipico della nostra sindaca e a cascata dei suoi, cui ci siamo ormai abituati e purtroppo assuefatti in questi lunghi anni di governo grillino della Città, è quello, estremamente infantile, di attribuire sempre le responsabilità ad altri. Un po’ come quei compagni di scuola che se prendevano un brutto voto era colpa dell’insegnante cattivo o quei baby-calciatori che se sbagliano il passaggio è colpa delle scarpe o del pallone che ha rimbalzato male sul campo sterrato. Colpa dei genitori si direbbe in questi casi che non sono stati capaci di educare al senso di responsabilità. Educare ad applicarlo, non abituare il gagno ad evocarlo quando sbaglia.
E così dal grande al piccolo se si perdono le Olimpiadi è colpa di Milano e del Coni, se succede la tragedia di Piazza San Carlo con morti e feriti è colpa di Turismo Torino che ha organizzato o al limite dei tuoi funzionari comunali su cui scarichi, se devi cacciare i tuoi due più stretti collaboratori perché hanno problemi giudiziari tu non ti pigli neanche la responsabilità di averli scelti, se devi fare quattro ore di coda all’anagrafe è colpa dei locali di via della Consolata – che sono lì da decine di anni -ecc. ecc. Insomma, la lista degli esempi è così lunga che forse è meglio interromperla qui per carità di Patria. Ovviamente quando non ci sono bersagli specifici da individuare ci si appella o al debito del Comune o a chi c’era prima o a entrambi. Argomenti questi sempre buoni per tutte le stagioni.
Ecco quindi l’esigenza di individuare sempre un nemico da responsabilizzare – al posto nostro ovviamente – su cui direzionare i riflettori dell’attenzione e del dibattito. In questo caso specifico avendone esauriti parecchi – di nemici – quello di turno diventa Milano. Peraltro lì si gioca facile stante la storica antipatia che hanno i torinesi nei confronti di questa città. Che peraltro, a onor del vero soprattutto negli ultimi tempi, Milano non ci ricambia neanche derubricando la nostra antipatia a invidia essendo, lei sì, proiettata su dimensioni competitive sovranazionali a differenza nostra.
Non andiamo lontano con questo approccio mentale. I problemi evidenziati dal rapporto Rota sono seri e profondi.
E necessitano di azioni forti e decise. che rafforzino le nostre specificità. Non permettono di vivacchiare e non si risolvono, con tutto il rispetto, con i selfie o con i convegni. Bisogna lavorare.
Cultura, arte, innovazione industriale, trasformazione urbana, infrastrutture, TAV, Parco della Salute, trasferimento tecnologico, Città universitaria e relazione tra ricerca e industria, linee di metropolitana, collegamenti di Torino con gli aeroporti sono solo alcuni degli argomenti e dei programmi da sviluppare nel breve e medio periodo per invertire la rotta.
Noi ci siamo e siamo davvero pronti a dare una mano. Ma per far ripartire la macchina bisogna cambiare paradigmi di approccio. E purtroppo per noi se l’analisi della situazione induce Appendino a corto di argomenti a dire che il nemico è Milano e che la situazione di crisi evidenziata è colpa loro ho paura che siamo ancora lontani dalla soluzione dei nostri problemi.
Scritto da Stefano Lo Russo, capogruppo Pd in consiglio comunale a Torino
IL RAPPORTO ROTA
PREMESSA
INTRODUZIONE
1- IL TERZIARIO
2- COMMERCIO E LOGISTICA
3- SERVIZI INNOVATIVI ALLE IMPRESE
4- BANCHE, ASSICURAZIONI, IMMOBILIARI
5- TURISMO, CULTURA, TEMPO LIBERO
6- INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE
7- CONCLUSIONI
8- BIBLIOGRAFIA
9- INDICE