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Il lodo Franceschini

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[sgmb id=”1″][sgmb id=”1″]di Mario Sechi

Può darsi che gli osservatori ed i commentatori più distratti, quelli che solitamente assistendo agli streaming della direzione nazionale del Pd si mostrano più interessati alle gaffe di De Luca o ai toni più o meno aspri degli interventi di Cuperlo e delle risposte di Renzi, sia sfuggito il senso ed il significato dell’intervento di Dario Franceschini. Peccato, perché quella di Franceschini non è stata una semplice riflessione sul significato del voto o su adeguamenti e correzioni da apportare all’azione politica del partito, ad esempio sulla legge elettorale. Franceschini ha fatto molto di più: ha teorizzato un nuovo percorso politico, un’architettura progettuale che intende sostituirsi all’impianto, alle traiettorie e alla direzione attuali del Partito Democratico e quel percorso ha il suono e il sapore della normalizzazione.

Questo percorso, in estrema sintesi, poggia sull’assunto che in Italia, come in Europa, la polarizzazione dello scontro non è più fra destra e sinistra, fra progressismo e conservazione, lo scontro è tra populisti e sistemici , sì proprio così li ha definiti l’ex segretario del Pd , i sistemici. Ed il compito del Pd, sempre secondo Franceschini, è quello di aggregare e guidare tutte le forze di sistema, tutte nessuna esclusa, nell’obiettivo, mi pare evidente, di sconfiggere i populisti per tutelare il sistema. Lo strumento immediato indicato da Franceschini ( e a questo punto si capisce perchè anche da molti altri)  per dare corpo a questo progetto è la modifica della legge elettorale, spostando il premio maggioritario dalla lista alla coalizione.

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Questa di Franceschini, però, non è solo l’indicazione di un orizzonte politico, è qualcosa di molto più concreto e di direttamente indirizzato al tema del governo e della leadership del Pd. È un lodo, se fossimo ai tempi di Donat Cattin potremo dire un preambolo, finalizzato a rappresentare il piano B nel caso di sconfitta al referendum e conseguente caduta dell’attuale leader e premier. Forse non solo in caso di sconfitta se, come sempre più si rumoreggia, una crisi di governo, pilotata nel più classico stile democristiano (e Franceschini da questo punto di vista è un esperto assoluto), risolvesse in un colpo sia l’incognita referendum, sia l’anomalia rappresentata dall’attuale segretario e premier.

Non ho mai creduto alle coincidenze e la quasi contemporaneità di altre due autorevoli prese di posizione, se  non prove, certo rappresentano un significativo indizio. La prima è quella di Cesare Damiano, cofondatore con Francheschini della corrente di area dem, che propone come nuovo vicesegretario unico del Pd Piero Fassino e sfido chiunque a dimostrarmi che proporre il segretario del partito che sciogliemmo per dar vita al Pd quale vicesegretario con funzione effettive di guida del partito, non abbia il sapore di una oggettiva restaurazione, di una normalizzazione appunto.

La seconda è l’articolata dichiarazione di Massimo D’Alema sul dopo referendum, nel caso di una vittoria, da lui sostenuta, dei no. In quella dichiarazione, D’Alema propone uno scenario di normalizzazione del Pd e del Paese, basato sulla liquidazione della riforma costituzionale e del suo principale artefice e su un  sistema istituzionale e politico riconducibile nei fatti allo stesso schema che Franceschini ha illustrato in Direzione.

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Non credo si tratti d’essere malpensanti ( categorie di persone peraltro che come ci hanno detto spesso magari fanno peccato ma ci prendono), si tratta di prendere consapevolezza che lo schema politico prospettato da Franceschini, è in campo e sarà protagonista del confronto politico dei prossimi mesi.

È uno schema, quello avanzato da Franceschini non solo, almeno per me, irricevibile; esso rappresenta oggettivamente un suicidio politico per il Pd e un contributo determinante a un’ulteriore saldatura, questa volta non più episodica ma strutturale,  fra parti sempre più ampie di elettorato e il populismo grillino.

Per questo credo sia opportuno invitare ad un supplemento di riflessione quei militanti che, detestando Renzi, pensano che, liberato dalla sua presenza, il Pd tornerà ad essere autenticamente di sinistra.

Dietro la sconfitta del referendum e dietro la caduta di Renzi non c’è purtroppo la rivincita della sinistra. Dietro e dopo quelle sconfitte c’è il lodo Franceschini, ci sono le grandi alleanze, i governi e i premier di emergenza nazionale, c’è quella classe dirigente che, dall’alto della sua purezza genetica di sinistra, potrà liberamente tornare a consegnare il paese nelle mani dei Monti, degli Enrico Letta, dei Passera e dei Calearo, o di qualche De Benedetti che fiutata l’aria ha già fatto sapere, con una tempestiva intervista, di essere a disposizione.
Credo sia lecito dubitare che un tale futuro possa rappresentare un bene per il Pd e per il Paese e, meno che mai, per la sinistra.

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