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mercoledì, 23 Ottobre 2024

Il dio che affanna e che consola

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Così il 5 gennaio Eugenio Scalfari titolava la risposta alle critiche rivolte ad un suo articolo, pubblicato in dicembre su “La Repubblica”, nel quale esponeva l’idea che Francesco, papa da lui considerato rivoluzionario, avesse ormai compiuto il più «sconvolgente» atto del suo fervore innovativo: l’abolizione del peccato. Libero ognuno di pensare se attraverso di lui operi Dio, ma che Francesco in pochi mesi abbia causato affanni e consolazioni, ed anche in dosi consistenti considerato il breve lasso temporale del suo pontificato, è cosa certa. Affannati gli immobilisti incatenati al passato e gioiosi coloro che non temono d’avventurarsi nel futuro.
Che Scalfari tra i suoi molteplici interessi nutra anche quello per la teologia è noto. Dei suoi dialoghi col cardinale Martini sanno i lettori del quotidiano da lui fondato. Ora è la volta di papa Bergoglio. Una lettera ed un’intervista d’un papa sono fortuna e orgoglio non a tutti concessi. A lui son toccati! Ed è grazie a questi contatti diretti arricchiti di quanto Francesco va seminando nel suo ministero quotidiano, che egli è giunto alla convinzione che Francesco abbia compiuto l‘atto più rivoluzionario della storia della chiesa. «Un papa che abolisse il peccato ancora non si era visto». Atto suggellato nell’esortazione apostolica «Evangelii gaudium, dove l’abolizione del peccato è la parte più sconvolgente». Più che sconvolgente si dovrebbe dire distruttiva, dal momento che la chiesa vive grazie al peccato, senza il quale non avrebbe più ragion d’essere. Ciò che potrebbe essere trama d’un romanzo sugli intrighi nei palazzi vaticani, oggi di moda, Scalfari lo dà come fatto avvenuto. Il Dio mosaico dei divieti e dei comandamenti, creatore e padrone, avrebbe conservato nel cristianesimo il carattere di giudice inflessibile, pur se temperato dall’amore e dal perdono. Ora papa Francesco a quel Dio avrebbe sottratto la bilancia giudiziale per lasciare trionfare solo l’amore e il perdono. Depennato il peccato cassato il giudice!
La tesi di Scalfari non ha trovato, a quanto se ne sa, molti sostenitori. Piuttosto oppositori, a cominciare dal papa stesso che, prima ancora delle deduzioni dell’illustre giornalista, ha sempre dichiarato, con insistenza e convinzione, che tutti gli uomini sono peccatori, se stesso in prima fila. La stessa insistenza e convinzione con cui proclama la misericordia di Dio. Non si deprima, dunque, l’uomo perché, assicura Francesco, essa sovrabbonda sul peccato, retaggio e triste patrimonio dell’uomo di generazione in generazione. La voce della teologia s’è fatta sentire con Vito Mancuso a ricordare che gli uomini, diversamente da quanto desiderato da Nietzsche, sono ben «al di qua del bene e del male» e che «non c’è tradizione spirituale che non conosca il concetto di peccato».
Così lo Scalfari curioso di teologia e attento alle vicende ecclesiastiche, ha dovuto chiarire il suo pensiero, a suo parere frainteso. In realtà, l’articolo era alquanto contorto e piuttosto in libertà, marcato com’era da ammirazione e fiducia nella volontà di Francesco di riposizionare la chiesa nell’alveo evangelico. «Io avrei sostenuto che il papa ha abolito [il peccato]. Io non ho detto questo. Un papa cattolico non può abolire il peccato. Il peccato c’è e richiede pentimento… Il papa ricorda che l’uomo è stato creato libero. È lui che decide i suoi comportamenti… Quale è la verità rivoluzionaria di questo riconoscimento?… Che l’uomo sceglie il bene come lui se lo raffigura. C’è un canone etico in questa scelta… Ma l’etica è il requisito più mutevole da uomo a uomo, da società a società, da tempo e da luogo. Se la coscienza è libera e se l’uomo non sceglie il male, ma il bene come lui lo configura, allora il peccato di fatto scompare e con esso la punizione».
La citazione è lunga, ma necessaria per riportare uno dopo l’altro i pilastri del ragionamento di Eugenio Scalfari, che, a differenza del primo articolo troppo prolisso, qui risultano chiari nella loro sinteticità. Un sillogismo formalmente non curato, ma che non lascia dubbi sulla conclusione. Si tratta di vedere se quei pilastri corrispondano a quanto affermato da Francesco e se e quanto combacino con la teologia tradizionale su libertà e coscienza cui, come figlio della chiesa, egli dichiara di voler essere fedele. (Peccato, 1)

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