La crisi da coronavirus rende più facile il lavoro da casa per poter garantire servizi e attività senza rendere ancora più pesanti gli effetti sull’economia del Paese. L’emergenza ha spinto il governo ad agevolare lo smart working nelle diverse forme esistenti, per tutti i lavoratori dipendenti e non solo nelle “zone rosse” del contagio, ma in tutte le regioni a rischio e colpite dal Covid-19: Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Friuli Venezia Giulia.
La novità consiste nella semplificazione della procedura per attivare il lavoro agile. Fino al 15 marzo non sarà più necessario l’accordo individuale preventivo, previsto dalla legge che regola il lavoro a distanza del 2017. Per l’azienda è sufficiente comunicare al dipendente la decisione di richiedere il lavoro agile, allegando anche l’informativa sui rischi per la sicurezza in via telematica. Tutto l’impianto delle altre norme che regolano l’attività di chi presta servizio da casa rimangono valide, dall’orario di lavoro all’utilizzo dei sistemi telematici, dall’esercizio del potere organizzativo e di controllo, alle necessità di presentarsi in ufficio a seconda delle scadenze previste dalla legge e dal progetto ad hoc lanciato dall’azienda.
Si tratta di una disposizione transitoria e legata alle misure di contenimento del contagio da Covid-19, ma accende i riflettori sul tema e potrebbe rivelarsi una occasione di svolta per questo modello organizzativo innovativo.
Cos’è esattamente lo smart working? Da non confondere erroneamente con il telelavoro, è la possibilità di costruire dei progetti con i lavoratori dipendenti che prevedano, in determinati giorni e orari concordati, di operare da remoto, in qualsiasi luogo “fuori dall’ufficio”, compreso casa propria, con l’utilizzo di strumenti digitali idonei. Certamente è un approccio gestionale rivoluzionario per le aziende, che mette al centro la progettualità e gli obiettivi invece del mero “controllo”, e che richiede sforzi organizzativi ed investimenti in tecnologia. Sforzi che possono venire ripagati dai benefici evidenti per i lavoratori soprattutto nella conciliazione tra vita privata e lavoro, riduzione dei tempi e costi per gli spostamenti e conseguente aumento della produttività.
In Italia la diffidenza c’è ancora: nel 2018 i lavoratori coinvolti erano appena il 2%, circa 354 mila, a fronte dell’ 11,6% dell’Europa, con picchi nei paesi scandinavi che arrivano al 30% (dati Eurostat 2018).
La fotografia di oggi vede un aumento del 20% rispetto al 2018, quindi un totale di 570 mila lavoratori, con conseguente crescita anche della percentuale di imprese che hanno attivato progetti di smart working: tra le grandi imprese siamo al 58%, ma rimane ancora molto limitata la diffusione nel mondo delle piccole imprese e delle pubbliche amministrazioni. Il Comune di Torino è un’eccezione positiva rispetto alle media degli enti locali a livello nazionale: il 10 per cento dei dipendenti, rispetto alla sola platea degli addetti che possono lavorare a distanza, è già oggi smart worker. Rispetto ai poco meno di 9 mila totali, tra cui ci sono però vigili urbani, maestre, educatrici, quelli che possono essere interessati dal lavoro agile sono 4 mila e 500 persone.
Secondo uno studio della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro, i margini di crescita potenziale di questa modalità sono alti: 8,3 milioni di dipendenti sono impiegati in professioni e mansioni compatibili con lo smart working, si tratta di manager, quadri, professionisti, tecnici, impiegati d’ufficio. Se si arrivasse anche solo ad un terzo, si tratterebbe di 2,8 milioni di lavoratori coinvolti.
Tornando all’effetto trascinamento che il decreto emergenziale potrebbe portare con sé, è interessante la richiesta al Consip di 600 computer portatili per garantire alcuni servizi essenziali per la pubblica amministrazione, come il lavoro della Corte dei Conti. E i grandi colossi come Eni, Enel, Tim, Vodafone, Saipem, Allianz, Luxottica, Axa hanno immediatamente attivato questa opzione per i dipendenti delle aree a rischio.
Per Emanuele Massagli, presidente di Adapt, il Centro Studi fondato da Marco Biagi, «la speranza è che questa situazione diventi una occasione per comprendere meglio come modificare la legge sullo smart working del 2017 per renderla più adeguata a regalare le tante modalità di lavoro a distanza che la tecnologia attuale rende facilmente praticabili, come dimostrato dalle tante aziende che in poche ore hanno chiesto ai dipendenti di lavorare da casa».
Insomma, sembra che improvvisamente molti dubbi e ritrosie si siano sciolti come neve al sole, e che lo strumento si stia rivelando più semplice e utile del previsto. Si è messo in moto un meccanismo che potrebbe mandare in pensione la vecchia bollatrice e il cartellino tanto caro agli italiani. La strada è segnata, ma è ancora lunga da percorrere.