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mercoledì, 4 Dicembre 2024

Informazione: perché si rischia la fine del mondo…

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

di Stefano Tallia, segretario Stampa Subalpina
La mia settimana da segretario del sindacato regionale dei giornalisti inizia come molte da un paio d’anni a questa parte.
Il primo appuntamento è fissato alle undici del mattino. Ad attendermi l’anziano direttore-editore di un giornale locale di ispirazione cattolica. Siamo in una delle tante province del Piemonte dove la crisi ha colpito duro: il tessuto industriale si è impoverito, la disoccupazione e la povertà sono cresciute e gli investimenti pubblicitari si sono assottigliati. In pratica, il giornale, che fino a sei anni fa vendeva cinquemila copie alla settimana, oggi stenta a raggiungere le duemila, mentre i suoi ingressi pubblicitari sono all’incirca dimezzati. La perdita annua non è da capogiro, ma sessantamila Euro sono una cifra importante per una azienda che non ha fini di lucro.
La crisi si risolve con l’applicazione di un contratto di solidarietà che ridurrà per un anno il costo del lavoro del 30 per cento. Firmo senza esitazioni, i colleghi sono convinti, ma so che il mio, il nostro, altro non è che il tentativo di curare la polmonite usando l’aspirina.
So bene che per assicurare un futuro a questa testata che ha oltre cent’anni di storia non servirebbero risparmi ma investimenti, economici e di idee. Servirebbe una politica aggressiva sui social media capace di avvicinare i più giovani, servirebbe un sito accattivante e in grado convincere anche i più recalcitranti a pagare i contenuti. Servirebbe, insomma, scommettere sul futuro.
Invece, quando al tavolo della trattativa pongo la domanda sui progetti nel campo delle nuove tecnologie, la risposta è quella consueta: «Faremo qualcosa, ma la prospettiva del digitale è ancora un’incognita».
E invece, non è vero: per scoprirlo sarebbe sufficiente leggere, informarsi, avere voglia di vivere ancora. Lo dico agli editori, ma anche ai colleghi giornalisti, se vogliamo che questa professione abbia un futuro.
Proprio domenica mattina, nelle pagine interne de “La Stampa”, Cesare Martinetti raccontava del successo del sito francese Mediapart: centomila abbonati, un bilancio che si regge esclusivamente sui soldi che provengono dai lettori e un utile di 1,3 milioni di Euro. Certo, per vincere la scommessa ci sono voluti cinque anni di insistenza, molte idee e cinque milioni di investimento.
Un successo che affianca quello del New York Times, che da quando ha chiuso le porte della sua edizione digitale ha raggiunto e superato anch’esso i centomila abbonati.
In giro per il mondo va cioè diffondendosi la buona pratica che per accedere ai contenuti di qualità è necessario pagarli. Un principio che, fin dall’epoca del baratto, interessa tutti i settori economici della società e che, per una malintesa idea della libertà, non dovrebbe invece riguardare l’informazione. Almeno in Italia.
E invece riguarda anche il nostro mondo. Negli ultimi tredici anni, ci ricordava Giovanni De Mauro su “Internazionale”, la vendita delle copie dei giornali di carta in Italia si è dimezzata, passando da sei a tre milioni di copie. In conseguenza di questo e dell’assenza di modelli di business che assicurino ricavi dal digitale, si sono persi 1800 posti di lavoro tra i giornalisti e quasi altrettanti tra i poligrafici.
Ma questo, non è che l’inizio. La transizione verso il web, lo spostamento di ingenti risorse economiche verso altre aree emergenti del pianeta continueranno a macinare posti di lavoro, speranze e destini personali.
Chi vive nel mondo dell’editoria, chi vive di editoria, deve avere chiaro che il momento che stiamo attraversando è straordinario. In gioco non ci sono solo i salari di chi lavora, ma il destino stesso di uno dei settori nevralgici del sistema democratico.
Tra poche settimane inizierà il dibattito che porterà al prossimo congresso della Federazione della Stampa. Potremo, se vorremo, continuare a discutere su quanto siano adeguate le tabelle del decreto sull’equo compenso e sarà sicuramente una discussione appassionante.
Oppure potremo forse alzare lo sguardo per scoprire che in un mondo dell’informazione sempre più povero e a corto di idee, a breve, i compensi non solo non potranno essere equi, ma non potranno essere del tutto.
Il sindacato non ha risorse ma ha il dovere di portare idee. La società civile, se tale vuole restare, ha invece l’interesse a osservare quel che accade in un piccolo sindacato di 25 mila uomini e donne come qualcosa che la riguarda profondamente.
Sì, informazione bene comune. E ora vi saluto che il secondo e il terzo appuntamento della giornata mi attendono…

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