Che Francesca Leon, assessora alla cultura della città di Torino, fosse in debito di ossigeno con il suo mandato, è risaputo. Come all’Alberto Sordi di “Un giorno in Pretura”, a lei l’ha fregata ’a malattia.
L’ossessione cioè di dimostrare una diversità di stile e contenuti nella rappresentazione culturale di Torino rispetto alle precedenti amministrazioni di sinistra. Ma l’ossessione è perturbativa oltre che perfida e crea nei soggetti che ne sono colpiti una progressiva perdita della chiarezza a favore della confusione.
Nulla di strano che l’assessora alla cultura si ritrovi ora ad aver smarrito anche il vecchio nella vana illusione di cercare il nuovo. La cultura pentastellata appare un guscio vuoto, esattamente come lo sono le casse comunali. Di pieno c’è soltanto il serbatoio della confusione che l’amministrazione Appendino redistribuisce con quotidiana generosità tra i suoi assessori. E Francesca Leon, negli ultimi giorni che l’hanno vista coprotagonista della pietosa vicenda dei 28 licenziamenti della Fondazione Torino Musei, ha attinto a piene mani da quel serbatoio. E oggi, in Sala Carpanini a Palazzo Civico, nell’audizione davanti alle commissioni cultura a lavoro, ne ha dato una superba dimostrazione. Al grido di battaglia che l’accompagna dai tempi dell’armata Brancaleone – “leon, leon, leon” – forte della sola confusione che ha in testa, ha sfidato tutti: sindacalisti, i 28 lavoratori che rischiano di rimanere in mezzo a una strada (persone con lauree e master, sottopagate mille euro al mese), i consiglieri d’opposizione e la sua maggioranza grillina che l’ha scarica un giorni sì e un altro ancora. Non ha risparmiato nessuno. Neppure se stessa quando ha mostrato di non conoscere la differenza tra lettera d’apertura delle procedure di licenziamento collettivo e lettera di licenziamento. In fondo, sotto il cielo pentastellato non è indispensabile saper leggere e capire, è sufficiente saper obbedire. Quando si dice cultura.