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Dov’è Francesco?

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di Vittorino Merinas

Il ruinismo è duro a morire e Bagnasco si dà da fare per tenerlo vivo. Così nella contesa, assai squallida, sulle unioni civili, ritorna, asfissiante, all’attacco.
“Ci auguriamo che il dibattito in Parlamento sia ampiamente democratico, che tutti possano esprimersi e che la libertà di coscienza sia promossa con una votazione a scrutinio segreto.” Intervento di tale acuta diplomazia da irritare chi, pur nel presente degrado della politica italiana, si ostina a difendere la dignità del Parlamento e smascherare, ad un tempo,la modesta caratura morale di quanti, spacciandosi paladini dell’istituto familiare, son bisognosi d’un’urna segretata per esprimere il proprio voto in suo favore.
Quando i politicanti in sottana torneranno nell’alveo della loro missione ed i loro seguaci, attivi in politica, amministreranno non come tutori d’una religione, ma come cittadini a servizio del bene pubblico? Per Bergoglio la politica è una nobile missione, ma non compete alla chiesa.
Gli ecclesiastici, dunque, tacciano, anche in ossequio al Concordato che chiarisce competenze ed autonomie, ed i laici credenti non vi partecipino come catechisti.
L’Italia fu per secoli terreno privilegiato dell’egemonia ecclesiastica sia spirituale che terrena. Comprensibile, quindi, la difficoltà nel dismetterla.
Nonostante il Vaticano II, ben poco è cambiato. Che sia la volta buona con Francesco, che sembra muovere la barca di Pietro verso altri e migliori orizzonti?
Qualche segnale non manca. Nell’episcopato italiano non tutti sono compatti nell’accodarsi al presidente Bagnasco, a cominciare da monsignor Galantino, molto vicino a Francesco, da lui voluto Segretario della Commissione Episcopale, il quale in molte occasioni ha assunto posizioni più realistiche e prudenti.
Così, in una recente intervista al Corriere della Sera sulle unioni civili ha dichiarato: “La società registra al suo interno anche la presenza crescente di unioni di segno diverso. Lo Stato ha il dovere di dare risposte a tutti nel rispetto del bene comune.” Un chiaro riconoscimento che la società non è più monistica e che lo Stato deve tenerlo presente nella sua azione.
Ammissione non di poco conto sulle labbra d’un ecclesiastico d’alto rango, anche se non è indice sufficiente d’una conversione alla laicità dello Stato.
Dice, infatti, in altra occasione che è strabismo “non rendersi conto che la famiglia è uno strumento necessario per la tenuta della società”. Sottinteso: la famiglia è quella e solo quella cattolica.
Se Galantino rinvia a Francesco, dov’è questi nel dibattito in corso in Parlamento? Certo non indietreggia sul valore assoluto della famiglia tradizionale, da lui ancora riaffermato nel discorso al Tribunale della Sacra Rota, proprio in prossimità del Family day a cui però, con disappunto degli organizzatori, mai ha fatto cenno, neppure all’Angelus della domenica successiva alla sua attuazione.
Coerenza con quanto aveva detto nel maggio 2013 ai vescovi italiani che sia di loro spettanza “il dialogo con le istituzione culturali, sociali e politiche”, o freddezza nei confronti della manifestazione del 30 gennaio, di sapore chiaramente politico come palesato dall’avvertimento lanciato al capo del governo: “Ce ne ricorderemo!”?.
Per quest’ultima ragione aveva cancellato l’abituale incontro con Bagnasco, fautore del Family day, in prossimità della riunione del Consiglio della CEI? Un fatto è certo: Bergoglio più di altri ha smesso di trattare l’Italia come dépendance del Vaticano Pur vescovo di Roma e primate d’Italia, ha demandato ai suoi confratelli vescovi la cura del Paese. Per questo nel volo di ritorno dal Messico ha potuto dire ai giornalisti: “Io non so come stanno le cose nel Parlamento italiano” Sua, invece, è l’attenzione al mondo: “Il papa è per tutti”. Di esso vuol cogliere sofferenze e problematiche per incunearvi il vangelo della fraternità, della giustizia, della pace, appianando fossati e lanciando ponti tra popoli e grandi istituzioni e facendosi voce degli oppressi. Per questo viaggia, fa incontrare Stati e dialogare fedi diverse.
Questa sua declinazione della politica, può, però, giustificare la sua latitanza mentre l’episcopato italiano si erge a controparte del potere politico per contrastarne la volontà di legiferare a favore di nuovi diritti? Può lavarsene le mani per aver detto -l’ha rivelato in quell’intervista- ai vescovi:”Con il governo italiano arrangiatevi voi!”? La chiesa italiana anziché “dialogare” può imporre? Non si tratta di quella politica che aveva promesso non si sarebbe più verificata “almeno durante il suo pontificato”? La chiesa non è per le periferie? Chi oggi reclama qualche diritto è da sempre nelle periferie! Forse è il momento che Francesco dia corpo alla sua promessa per rendere veridiche le sue parole e non marchiare il Giubileo della misericordia con una pessima contro-testimonianza.

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