di Moreno D’Angelo
Quali sono le relazioni tra Dna e trapianto di fegato? Uno studio che arriva dall’ospedale Molinette di Torino, curato da Antonio Amoroso e Renato Romagnoli, ha analizzato l’esito di circa mille trapianti di fegato eseguiti in un periodo di dieci anni. I due studiosi si sono concentrati sui casi di quei pazienti colpiti da cirrosi epatica associata al virus dell’epatite C.(Hcv).
Si è riscontrato come per il 40% di questi pazienti il quadro che emerge non sia dei migliori per i forti rischi di ricadute per infezioni legate al nuovo fegato. Lo studio ha identificato come una fascia di questi pazienti sia particolarmente svantaggiata quando persiste la combinazione di due varianti genetiche alla base dell’infezione sul nuovo fegato e della perdita precoce del trapianto.
Il quadro definito dai due esperti della Città della Salute e della Scienza potrà comunque aprire le porte nuove soluzioni per sviluppare le contromisure a tutela di questi pazienti particolarmente svantaggiati. Si è prospettato in tal senso il ricorso a un tempestivo trattamento con nuovi farmaci anti-Hcv ad azione diretta. Oltre i fattori genetici è stato evidenziato come le probabilità di successo di un trapianto dipenda anche dalla qualità del centro, dall’esperienza del team chirurgico e dal numero di interventi eseguiti ogni anno.
Su questo fronte Il Centro trapianti di fegato dell’ospedale torinese, diretto da Mauro Salizzoni dal 1990, è all’avanguardia: ha effettuato 2.837 i trapianti con una probabilità di successo a 5 anni pari all’80%.