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venerdì, 6 Dicembre 2024

Crisi Ucraina: le armi di Obama, la diplomazia della Merkel e il gas di Putin

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Intorno alla crisi Ucraina iniziano ad accendersi i toni della diplomazia internazionale. Da una parte il presidente americano Barack Obama conferma, durante il faccia a faccia con Angela Merkel, l’intenzione di iniziare a fornire armi a Kiev nel caso la via diplomatica dovesse fallire. Dall’altra la Russia di Vladimir Putin promette un’escalation del conflitto nel caso in cui gli Stati Uniti decidano di procedere in questo senso. «Nessuno – ha riferito il portavoce dello zar di Russia – ha mai parlato e potrà mai parlare al presidente con il tono dell’ultimatum».
«Il Cremlino ha violato tutti gli impegni presi con l’accordo di Minsk, continuando a operare nell’Ucraina dell’est, inviando soldati e artiglieria pesante e distruggendo interi villaggi», ha spiegato Obama, suggerendo che le sanzioni inflitte alla Russia – inasprite ieri durante il vertice dei ministri degli Esteri Ue a Bruxelles – possano non essere più sufficienti.
Nel mezzo la cancelliera tedesca Angela Merkel, che invita alla calma e alla diplomazia ribadendo il suo no a qualsivoglia soluzione militare per la crisi ucraina, ricordando come ormai sia in gioco l’ordine della pace in Europa.
Tutti aspettano insomma il vertice che domani vedrà riuniti, a Minsk, Hollande, Merkel, Putin e Poroshenko. Obbiettivo: trovare un accordo per far tacere i cannoni nel Donbass. Compito che reso ancora più difficile dalla denuncia di Kiev, alla vigilia del vertice, di un contingente formato da 1.500 soldati russi che avrebbe attraversato la frontiera ucraina tra il 7 e l’8 febbraio, portando con sé anche mezzi e armi pesanti.
Tre i principali argomenti che saranno affrontati domani: l’assegnazione della zona del Debatsevo, ancora contesa tra Kiev e ribelli, l’individuazione di chi pagherà i danni di guerra e la ricostruzione, le forniture energetiche russe, che dal primo aprile torneranno ad avere costi insostenibili per Kiev.
Il governo ucraino chiede la cessazione della fornitura di armi e soldati ai ribelli e il ritiro dei mezzi blindati: è deciso a continuare il processo di integrazione all’Unione europea e alla Nato ma disposto a concedere un certo gradi di autonomia alle province orientali in cambio di forniture di gas russo a un prezzo equo.
Mosca, dal canto suo, chiede invece una tregua basata sulle ultime conquiste territoriali dei ribelli e larga autonomia per le province orientali, prospettando una soluzione federalista che permetterebbe a questi territori di optare per un rapporto diretto con Mosca piuttosto che con l’Ue e soprattutto con la Nato.
Nel mezzo l’Europa, che chiede una tregua immediata tra il governo ucraino e i ribelli e una smilitarizzazione del fronte, arrivando anche a sostenere le richieste di autonomia delle province orientali a patto che sia inquadrata in uno scenario unitario del Paese. Nel frattempo nel sud est ucraino si continua a morire.

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