La critica al processo penale in collegamento da remoto, previsto dalle disposizioni anti Coronavirus, arriva da un pubblico ministero, Paolo Borgna, già procuratore vicario a Torino. In un articolo apparso su ‘Questione Giustizia’ sul web spiega:
“Se io fossi un imputato portato a giudizio, io vorrei parlare al mio giudice guardandolo in faccia, esporre le mie ragioni fissandolo negli occhi. Magari non lo farei. Magari mi avvarrei della facoltà di non rispondere. Ma voglio avere il diritto di farlo”.
Borgna segnala il rischio che “a sostenere il provvedimento governativo” ci sia “un’idea di fondo”, quella della “smaterializzazione del processo”, che “la pandemia ha solo anticipato”. “L’idea di processo che sta dietro questa prospettiva – scrive – non ci piace. Non è un’idea moderna. E’ un’idea regressiva, che ben si inquadra nella tendenza universale della crisi delle democrazie liberali”.
Borgna osserva inoltre che, sebbene si presenti solo come una disposizione “eccezionale” dettata dall’emergenza sanitaria, c’è il rischio che in futuro venga accolta da un senso di “normalizzzione”, perché “sappiamo che, in Italia, non c’è nulla di più definitivo delle norme transitorie” e “che le norme eccezionali tendono sempre ad estendersi”.