Per salvare il commercio è necessario abbattere i costi del lavoro, degli affitti, della tassa rifiuti, del suolo pubblico ed è necessaria la collaborazione di tutti, dal Governo agli enti locali. Lo ribadisce con forza Giancarlo Banchieri, presidente di Confesercenti Torino, che ricorda come già prima del lockdown la situazione del commercio fosse difficile. Proprio per questo era stato chiesto un tavolo di crisi prima che il Coronavirus aggravasse la situazione, figlia di un momento congiunturale molto negativo da ricondursi al 2008. Pochi giorni fa, l’Istat ha reso noto le stime provvisorie dell’occupazione a luglio che confermano il forte impatto della crisi su imprenditori e autonomi: dal mese di febbraio a luglio se ne contano 117mila in meno.
Confersercenti è stata da pochi giorni audita in commissione al Senato. Cosa chiedete alle istituzioni?
Non posso dire che non ci sia stato nessun tipo di aiuto in questi mesi, perché non sarebbe vero. Dobbiamo però analizzare la situazione in tutta la sua complessità: c’è un calo strutturale dei ricavi, se di pari passo non c’è un calo dei costi è impossibile per un’azienda andare avanti. Torniamo al turismo, che comprende anche la ristorazione. Sono ambiti fondamentali per il nostro Paese, nessuno ha interesse a indebolirlo così fortemente. Prima di questa crisi il settore era uno dei pochi in crescita a livello mondiale. L’unico modo per tenerlo in piedi in questa fase così complessa è abbassare il peso dei costi: ci sono stati degli interventi sull’azzeramento dell’imu per gli alberghi, ad esempio, ma il calo delle entrate è così prolungato e grave che questi interventi non sono più sufficienti.
Quali sono le priorità sulle quale chiedete a Governo e a Istituzioni locali di intervenire?
Il capitolo riguardante il costo degli affitti, soprattutto nelle grandi città è veramente pesante, così come quello del costo del lavoro. Perché un attività tenga aperta la saracinesca deve impiegare comunque delle risorse anche se non sa se ci saranno clienti. Il commercio non è una fabbrica, che lavora su commessa e che sa quanto materiale produrre e quanto personale dedicargli. E’ importante che sia previsto un calo del costo del lavoro.
Ad esempio?
La ristorazione ha avuto un calo di capacità ricettiva. Il rispetto del distanziamento ha comportato il fatto che locali dove potevano essere serviti 100 coperti siano dovuti scendere a 60, 70. Ma l’affitto è rimasto uguale, come il costo della tassa rifiuti, quello del lavoro. Più difficoltà e medesime spese di prima. Avendo meno ricavi e le medesime spese diventa impossibile sostenere la situazione.
Cosa può fare la Città?
Alla Città chiediamo ad esempio di rimettere in pista anche il prossimo anno la possibilità di allargare il dehor in maniera gratuita; a livello nazionale bisogna ragionare sul costo del lavoro e degli affitti. Solo così potremo uscire da una situazione drammatica.
Il lockdown e le incertezze di questi mesi sono stati il colpo di grazia su una situazione già compromessa?
Per circa due o tre mesi, a seconda dei settori, le attività sono state chiuse, azzerando gli incassi, senza però fare altrettanto sui costi, che hanno continuato ad esserci. E’ una situazione fatta di più aspetti, che vanno analizzati con attenzione.
Cosa è avvenuto con la riapertura?
Alcune attività, alcuni settori hanno ripreso lentamente un certo grado di normalità, altri invece ne sono rimasti penalizzati a causa di alcuni fattori che purtroppo saranno prolungati nel tempo. Questa situazione si protrae da sei mesi e non si vede ancora la parola fine. Quando le crisi si prolungano per così tanto tempo, è ovvio che gli effetti corrono il rischio di essere molto importanti.
Quali sono le filiere che soffrono maggiormente?
Il turismo sta sopportando una crisi senza precedenti. Era una voce importante per una parte di città e per molte attività commerciali. In questi mesi il turismo in città si è azzerato o comunque si è di molto compresso, soprattutto con l’estero.
Eppure sembra che gli italiani in vacanza ci siano andati..
La crisi si sente soprattutto nelle città e nelle città d’arte: magari nelle località balneari o in montagna c’è stato un buon afflusso, ma nelle capitali mete di un turismo culturale, un po’ per le abitudini degli italiani che tendono a fare le vacanze tutti nello stesso periodo e tutti in certi posti, la flessione è stata pesante. Gli italiani difficilmente vanno a visitare una città ad agosto, è una cosa che non fa parte proprio delle nostre abitudini.
Al turismo è legato un indotto importante. Anch’esso è in sofferenza?
Tutta la filiera del turismo, fatta di alberghi, di agenzie di viaggio, di guide turistiche è in estrema difficoltà. Il turismo comprende anche il settore della ristorazione che fa dell’enogastronomia il proprio fiore all’occhiello. Quello turistico è un comparto consistente perché di alberghi a Torino ce ne sono molti. In affanno sono anche la moda, l’abbigliamento: filiere che faticano a sostenere l’avvento dell’uso massiccio dell’on-line.
A proposito dell’online: il lockdown ne ha favorito l’uso sia per gli acquisti come per il lavoro…
Lo smart working ha ulteriormente aggravato la situazione economica dei ristoratori, in particolare quelli che vivevano di pranzi di lavoro, quelli che sono in prossimità di aziende o enti che lavorano da remoto. Moltissimi dipendenti pubblici e privati hanno cominciato a lavorare da casa, e questo ha influito moltissimo sulle abitudini di spesa. Sono moltissime le attività che hanno impostato il loro lavoro sugli uffici presenti nei dintorni, sulle colazioni, sul pranzo, e tutto questo è venuto meno.
La crisi pregressa, il lockdown, le abitudini che cambiano, le diverse modalità di spesa: in quanti potrebbero non farcela?
Quanto sia profonda e quante saranno le vere chiusure che ci saranno lo capiremo in questi mesi, che si preannunciano molto duri anche se da parte di tutti c’è la volontà di restare in piedi.