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martedì, 22 Ottobre 2024

Caso Orlandi, la verità è sempre più lontana. Il fratello Pietro: ancora nessun accertamento dalle indagini della giustizia vaticana 

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Moreno D'Angelo
Moreno D'Angelo
Laurea in Economia Internazionale e lunga esperienza avviata nel giornalismo economico. Giornalista dal 1991. Ha collaborato con L’Unità, Mondo Economico, Il Biellese, La Nuova Metropoli, La Nuova di Settimo e diversi periodici. Nel 2014 ha diretto La Nuova Notizia di Chivasso. Dal 2007 nella redazione di Nuova Società e dal 2017 collaboratore del mensile Start Hub Torino.

Il 22 giugno si svolgerà un sit in per ricordare Emanuela Orlandi a 36 anni dalla sua sparizione. La manifestazione sarà significativamente in piazza Sant’Apollinare, davanti a quella scuola dove Emanuela seguì la sua ultima lezione di flauto nel 1983, prima di sparire nel nulla.

L’ennesima manifestazione per tenere viva la domanda di verità e giustizia su questo caso pare ora calarsi in un contesto molto diverso dal passato.

Le grandi speranze e le svolte attese dall’improvvisa disponibilità della Santa Sede, che ha annunciato l’apertura di un’inchiesta interna, dopo le ricerche di ossa nella nunziatura vaticana e nel cimitero teutonico, lasciano forti perplessità. Per non parlare di quelle ipotesi ventilate che vedevano la Santa Sede impegnata a trovare una via di uscita soft da un caso tanto pesante per le ombre che getta da decenni sulla cupola di San Pietro.

La domanda è: se aveste un cadavere in cantina, in una casa di cui solo voi avete le chiavi, aprireste mai un’inchiesta di vostra iniziativa per scoprire la verità?

Quanto si sta registrando sul caso Orlandi è incredibile. Dopo anni di speranze di piste e ricerche, culminate con l’archiviazione fortemente voluta dal procuratore Pignatone, confermata in Cassazione nel maggio 2016, continuano i colpi di scena con l’attenzione immediata dei media su ossa sospette, tombe con angeli che sembrano far parte di un romanzo di Dan Brown. Tutte operazioni inquadrabili come “atti di distrazioni di massa” da quella verità tanto ricercata. Deve poi far riflettere che tutte queste iniziative partono da fonti interne al Vaticano.

Per quanto riguarda la tomba teutonica (con tanto di angelo indicatore e fiori posti da misteriosi soggetti), su cui si concentrerebbero le attenzioni dell’inchiesta che il Vaticano avrebbe manifestato intenzione di portare avanti, pare profilarsi un finale con la dichiarazione: «Ci spiace molto ma nella tomba non c’è nulla che abbia a che fare con il caso Orlandi. Noi abbiamo fatto tutto il possibile per collaborare a dispetto di tante critiche immotivate».

Le ultime novità sullo stato delle indagini in corso in Vaticano partono da un commento di Pietro Orlandi pubblicato via Facebook che riportiamo integralmente: «Gli accertamenti non hanno avuto riscontro perché non ci sono stati ancora accertamenti, diciamo le indagini sono in corso e non riguardano naturalmente solo le segnalazioni non anonime sul teutonico, detto questo io mi auguro ovviamente che lì o altrove non ci siano i resti di Emanuela, perché non sono “i resti” di Emanuela che sto cercando, ma quelle segnalazioni ci sono state e bisogna verificare per non restare nel dubbio». Insomma le indagini e i relativi accertamenti che alimentavano tante speranze sarebbero ancora al palo e si parla di verifiche sulle segnalazioni non anonime e su altri elementi non precisati. Pietro precisa di non voler inutili polemiche sui social  ribadendo che: “Emanuela la cerco viva finché non ho le prove che sia morta”.

Strano che i numerosi approfondimenti sui media, su una vicenda che assicura sempre grandi ascolti, non siano riusciti a cogliere il taglio di questa ennesima più che probabile bufala in salsa teutonica. Strano inoltre come venga sistematicamente oscurata la figura del testimone reo confesso Marco Fassoni Accetti che, pur tra tante contraddizioni, ha fatto emergere nel suo memoriale un indirizzo e una chiave per leggere le trame dietro il rapimento di due quindicenni nel giugno del 1983 (il mese prima sparì anche Mirella Gregori).

Insomma a quanto pare ci sarebbe poco da gridare a una svolta storica anche se tardiva. Peraltro sorprende che da parte della legale degli Orlandi si punti su un incontro “determinante” con il boss Pippo Calò. Certo ogni pista non andrebbe ignorata, ma dopo tanti anni di indagini, in cui non sono certo dei fantasmi i vari protagonisti legati alla vicenda, sembra strano ci sia una primula rossa che saprebbe tutto.

E’ ovviamente legittimo seguire ogni strada da parte di familiari che convivono da anni con questo dramma, senza avere ancora verità, giustizia e senza poter portare un fiore e pregare su una tomba.

Un quadro in cui di certo sono state continue le operazioni di depistaggio come pare essere quella delle note spese con cui il Vaticano avrebbe curato e sostenuto Emanuela molti anni dopo la sua sparizione. La fonte? Sempre parte dal Vaticano. Mentre appare molto concreta la possibile esistenza di un dossier sul caso come più volte sostenuto da Pietro Orlandi che sarebbe stato visto sul tavolo di padre George.

Sembra un dettaglio di poco conto ma è significativo come in Vaticano oltre alle reticenze su moratorie e informazioni sul caso, per anni avrebbe dato fastidio qualunque cenno ad Emanuela anche tenere un’immaginetta della “ragazza con la fascetta” sulla scrivania nei suoi uffici. Come ha riferito Pietro Orlandi.

E’ evidente che senza il perdurante impegno dei comitati di solidarietà, che hanno portato protesta e indignazione anche in Piazza San Pietro, tenacemente sostenuti da Pietro, fratello di Emanuela, il problema oggi non si porrebbe più. Ma il caso non è un cold case e ci sono fior di elementi, testimonianze e ben sei indagati a seguito delle indagini portate avanti per anni dal procuratore Capaldo. Insomma l’inchiesta vaticana in corso potrebbe essere utile solo a chiudere un caso in bellezza.

Un caso avvolto in un polverone di ipotesi e voci volutamente sviluppate per allontanare una verità che non sembra aver molto a che fare con le ossa di una tomba per quanto teutonica.

Se è possibile un parallelo storico, nel travagliato periodo a cavallo tra gli anni 70 e 80 (scandalo Ior Ambrosiano, suicidio Calvi, attentato di Ali Agca, P2), la Chiesa risultava divisa tra chi sosteneva l’ostpolitik e chi invece lavorava per dare la botta finale all’impero sovietico e anche oggi il quadro, pur in contesti totalmente diversi, ripropone il fronteggiarsi di fazioni tra porporati e non si tratterebbe solo dello scontro tra tradizionalisti e innovatori. Questo ovviamente in un nuovo quadro politico italiano in cui si assiste al diffondersi, in modo ancora più forte e ampio, di attacchi a Bergoglio da parte di chi auspica una Chiesa più tradizionalista e silenziosa.

Resta il fatto che solo da qualche canuto testimone, che da troppi anni tiene o deve tenere la bocca cucita, potrebbe emergere la verità su un caso sicuramente imbarazzante per la Santa Sede. Anche a distanza di 36 anni.

Il rischio è che le speranze e le attese per la “svolta storica”, rappresentata dalle annunciate “indagini vaticane” in corso, possano invece mettere la pietra tombale sulla vicenda.

Un fatto che renderebbe le iniziative del comitato di solidarietà per Emanuela, tanto preziose a tenere alta la tensione sul caso per decenni, come un rituale.

E’ comunque evidente che il polverone e le operazioni di depistaggio, abilmente portate avanti, abbiano avuto il loro risultato. Avviare il caso Orlandi ad essere l’ennesimo cold case senza soluzione e soprattutto senza responsabili, buono solo per avvincenti format televisivi.

Il tutto caratterizzato da una grande confusione percepita da un opinione pubblica persa tra una ridda di piste in cui pochi riescono a individuare le chiavi per capire le cause di una vicenda che lascia aperte una miriade di interrogativi e supposizioni. Ma la speranza non è morta e si attende che la fioca voce di qualche canuta eminenza si faccia sentire.

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