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martedì, 22 Ottobre 2024

Caso Orlandi, ecco le domande lasciate in sospeso dall’archiviazione. Le risposte risolverebbero il mistero

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Redazione
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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Servizio tratto dal blog di Fabrizio Peronaci, giornalista del Corriere della Sera e autore di libri-verità sulla Chiesa, ultimo “La tentazione”
 

Il fratello di Emanuela riferisce una frase pronunciata da Carla De Pedis: “Pignatone nostro…” Parole che fanno emergere clamorosi retroscena
sull’archiviazione e uno scontro senza precedenti ai vertici della Procura di Roma

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Il botta e risposta tra il collega Gianluigi Nuzzi e Pietro Orlandi (in onda il 2 novembre 2018 su Quarto Grado) contiene dei retroscena clamorosi e dimostra che l’archiviazione del caso Orlandi-Gregori, nel 2015, e’ stata una scelta tutt’altro che indolore, che ha prodotto profonde lacerazioni. Un’operazione, tra l’altro, nascosta all’opinione pubblica, nonostante il capo della Procura di Roma Giuseppe Pignatone goda di grande visibilita’ nei mass media.
Le domande in sospeso relative alla decisione di chiudere bruscamente un’inchiesta che era finalmente giunta vicino alla conclusione (o perlomeno a toccare gangli decisivi dell’intrigo) sono molte.
Le riduco a 10, per facilitare la comprensione. Poi, a seguire, considerata l’indubbia rilevanza giornalistica, propongo il testo integrale dell’intervista di Gianluigi a Pietro Orlandi.
Ecco le mie 10 domande, alle quali sarebbe bello ottenere una risposta, anche parziale.
1- Perché il capo della Procura di Roma, improvvisamente, nonostante l’esistenza di ben cinque indagati per duplice omicidio e sequestro di persona, decide di avocare a se’ l’inchiesta Orlandi-Gregori?
2 – Come giustificare l’archiviazione di un’inchiesta tanto importante, pur in presenza di un flauto traverso (recuperato nel 2013 grazie alla confessione-autoaccusa di Marco Accetti), che gli esami scientifici non hanno escluso possa essere appartenuto a Emanuela Orlandi?
3 – Come giustificare l’archiviazione dell’inchiesta pur avendo certezza, attraverso la comparazione della voce di Marco Accetti con quella del telefonista del 1983, di aver finalmente individuato il famigerato “Amerikano” delle telefonate in Vaticano (al cardinale Casaroli) e alle famiglie Orlandi e Gregori?
4 – Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, pur avendo formalmente espresso il suo dissenso dissociandosi dalla decisione di archiviare il caso presa dal capo Giuseppe Pignatone, non ha mai argomentato pubblicamente il suo dissenso. Il dottor Capaldo ha forse subito pressioni finalizzate a evitare che lo scontro in atto all’interno della più importante Procura d’Italia deflagrasse sugli organi di informazione?
5 – Nel 2015, durante un colloquio informale presso il suo ufficio di piazzale Clodio, esaminando alcune fotografie pubblicate nel libro “Il Ganglio”, il dottor Capaldo mi rivelo’ che lui “un’occhiatina” alla tomba di Katy Skerl al Verano l’avrebbe data, per verificare se fosse vero quanto sostiene Marco Accetti, ovvero che la bara e’ stata trafugata. Il caso della Skerl, uccisa nel 1984 a Grottaferrata, secondo numerosi elementi indiziari è collegato alle scomparse Orlandi-Gregori. Perché il dottor Pignatone si è opposto a una semplice verifica (spostare una lapide) che potrebbe dire una parola definitiva sull’attendibilità di Marco Accetti?
6 – Perché la Procura di Roma non ha aperto un procedimento sulla morte di Paola Diener, fulminata nella vasca da bagno della sua abitazione in via Gregorio VII, a Roma, nell’ottobre 1983, nonostante gli atti del caso Orlandi-Gregori attestino che la ragazza era figlia di un dipendente dell’archivio segreto Vaticano e che la sua casa era piena di microspie?
7 – Perché non sono mai state individuati dalla Procura di Roma due testimoni fondamentali del doppio rapimento, vale a dire la persona che da Roma scrisse di suo pugno alcune lettere di rivendicazione e l’altra che materialmente provvide a spedirle dalla città di Boston, negli Stati Uniti?
8 – Ambienti ecclesiastici hanno mai esercitato pressioni sulla magistratura italiana finalizzate all’archiviazione del caso Orlandi-Gregori?
9 – Perché il magistrato Ilaria Calo’, pur non avendo mai seguito l’inchiesta Orlandi-Gregori ne’ mai svolto atti istruttori, nel 2015 accettò di firmare la richiesta di archiviazione, ponendo la sua firma accanto a quelle del suo capo Pignatone e della collega pm Simona Maisto?
10 – La decisione di archiviare il caso è arrivata nel 2015. Papa Francesco nel 2013 disse a Pietro Orlandi: “Tua sorella è in cielo”. Esiste una connessione tra questi due eventi?
Dall’analisi combinata delle 10 domande traspare con tutta evidenza che la scomparsa di Emanuela e Mirella conduce a verità molto scomode.
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A seguire (testuale) il dialogo Nuzzi-Orlandi, che chiama in causa la vedova De Pedis, Carla Di Giovanni, che qualora lo desideri può ovviamente replicare scrivendo a questo Gruppo di Giornalismo Investigativo oppure a me in privato. Buona lettura
La notizia del ritrovamento delle ossa sotto la Nunziatura Vaticana ha un filo rosso con questa trattativa tra alcuni monsignori del Vaticano e la Procura di Roma?
«È il primo pensiero che mi è venuto… perché la realtà è stata molto meno poetica di come l’ha rappresentata Faenza (regista de ‘La Verità sta in cielo’, film sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, ndr), che l’ha illustrata molto bene. Quando in Vaticano è stato convocato Giancarlo Capaldo (il magistrato che si occupava dell’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, ndr) gli hanno chiesto due favori: uno, che fosse la magistratura a togliere De Pedis (boss della Banda della Magliana, accusato di essere coinvolto nel sequestro di Emanuela Orlandi, ndr) da Sant’Apollinare (la basilica dove è sepolto De Pedis, ndr); due, un aiuto per risolvere la questione di Emanuela, trovando una verità di comodo che facesse il minor danno possibile alla Santa Sede. Per questo erano disposti a dare un fascicolo con i nomi di persone che avevano avuto un ruolo in questa vicenda. Ma fino ad un certo livello: perché oltre non si poteva andare. Il magistrato, però, disse che la famiglia di Emanuela, più che i responsabili, voleva sapere se Emanuela era viva o era morta. E, se morta, avere la possibilità di ritrovare il corpo. Gli è stato risposto: “va bene”. E questa è una cosa allucinante: in Vaticano gli hanno risposto “va bene”».
Tu eri presente a questo incontro tra Capaldo e alcuni esponenti del Vaticano?
«No, però ho parlato a lungo con Capaldo, che ho conosciuto molto bene, e mi raccontato queste cose. Capaldo non è un mio amico: era il magistrato che si occupava dell’inchiesta e vice capo della Procura. Non posso non credere a quello che mi ha detto».
In Procura a Roma, pensano che il tuo sia un discorso un po’ inventato…
«È normale, ma io non credo sia inventato. Anche perché, in Vaticano, non hanno negato questo incontro. Io e l’avvocato Laura Sgrò abbiamo chiesto tantissime volte delle risposte, per sapere chi era quell’alto prelato che ha parlato con Capaldo. Il problema principale è stato che quando Capaldo non ha avuto più risposte, ha rilasciato una dichiarazione pubblica, che all’epoca, era il 2012, mi aveva colpito tantissimo. Diceva che c’erano delle personalità, in Vaticano, che erano a conoscenza di quello che era accaduto. Ma, per quanto riguarda l’apertura della tomba (di De Pedis, ndr), al momento non lo riteneva opportuno. Era un segnale che mandava a loro, come a dire, ‘voi mi avete fatto un’offerta, mi avete promesso un fascicolo in cambio di qualcosa, ma io quel fascicolo non l’ho mai avuto’. Il giorno stesso è intervenuto il nuovo Capo della Procura di Roma, il dottor Pignatone, che si è dissociato da quella dichiarazione e ha tolto l’inchiesta a Capaldo. E l’ha fatto semplicemente per portarla all’archiviazione. E così è stato. Poi ho letto un’intercettazione, che ho ritenuto molto importante, tra la moglie di Enrico De Pedis, Carla Di Giovanni, e uno degli indagati, il monsignor Vergari: in quei giorni lui era preoccupatissimo perché stavano aprendo la tomba di De Pedis. E in questa intercettazione, che è molto dura, la Di Giovanni diceva “meno male che adesso è arrivato il nostro procuratore… ci penserà lui a far tacere Orlandi. Già ha fatto fuori Capaldo e il capo della mobile… e ha promesso ai miei avvocati che lui archivierà tutto”. Credo che non ci siano parole da aggiungere».
Sono accuse che tu stai rivolgendo al Procurato Capo Pignatone e te ne assumi la responsabilità.
«Quelle intercettazioni sono agli atti in Procura. Sono anche a sua disposizione. Io ho riportato solo un’intercettazione. E poi ho visto gli avvocati di De Pedis: li ho visti che sono andati da Pignatone. Perché il giorno che sono andato da Pignatone, loro uscivano. Ci sono stati sicuramente. Mi sono stupito che quando è uscita la notizia dell’incontro di Capaldo in Vaticano, Pignatone non abbia convocato lo stesso Capaldo per chiedergli cosa fosse quella storia. Secondo me, sarebbe stato suo dovere».
Che incontri avete avuto con le autorità Vaticano per cercare la verità?
«Ho bussato continuamente a tutte le porte possibili. E ho avuto anche delle risposte. Ho incontrato il segretario di Stato, che è stato molto disponibile. Insieme all’avvocato abbiamo presentato tante istanze per cercare risposte e ci sono stati una serie di incontri. Questa collaborazione speravo potesse iniziare e, forse, sta iniziando. Ma sono rimasto stupito da molte cose: ad esempio, 15 giorni dopo la sua elezione, ho incontrato Papa Francesco che seccamente mi ha detto “Emanuela sta in cielo”. E se lui mi ha detto questa frase, con l’inchiesta ancora aperta, vuol dire che sa qualcosa più di noi. E da quel momento, il muro si è alzato ancora più di prima. E quando io ho incontrato il segretario di Stato, persona molto sensibile a questa storia, e gli ho chiesto se aveva parlato con Papa Francesco, lui mi ha detto che da parte del Papa, su questa storia, c’è chiusura totale. Quindi, anche lui, come me, pensa che dietro questa vicenda c’è un peso così importante per l’immagine della Chiesa, che non si riesce a far emergere la verità. Lui, allargando le braccia, mi ha detto che è una ‘situazione molto complicata’. Ma questo lo sapevo, altrimenti non sarebbe durata 35 anni».
Hai avuto incontri più recenti in Vaticano?
«Anche da parte della Gendarmeria c’è disponibilità. Ho incontrato delle persone che sembrano disponibili ad arrivare a una verità. Io, come ho detto recentemente, anche al cardinale Parolin, penso sia importante anche per la Santa Sede arrivare a una verità.Qualunque essa sia. Perché questo loro comportamento, non fa altro che aumentare i dubbi da parte dell’opinione pubblica».
Pensi che Villa Giorgina sia la risposta a questa apertura?
«In questo ultimo periodo, io e l’avvocato abbiamo cercato di fare indagini per conto nostro. Abbiamo preso informazioni e, nell’istanza che abbiamo presentato, abbiamo avuto delle segnalazioni da alcune fonti importanti su un luogo dove poteva essere sepolto il corpo di Emanuela: che però è all’interno delle mura. Per questo la notizia mi ha colpito fino a un certo punto. Mi ha colpito il fatto che stavano facendo una cosa senza avvisarci. Poi ho saputo che si trattava di un altro luogo».
Qual è questo luogo che ti hanno indicato?
«È dentro le mura, ma su questo luogo vorrei ancora delle risposte. Spero che arrivino il prima possibile».
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Fabrizio Peronaci
La tentazione di Fabrizio Peronaci
Giornalismo Investigativo by Fabrizio Peronaci

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