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sabato, 27 Luglio 2024

Caso Aldrovandi, Tonelli, Sap: “C'è un ragazzo morto? Ne muoiono tanti”

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Redazione
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«La causa della morte di Federico non è il fermo di polizia, la sentenza è errata». Ne è convinto Gianni Tonelli, rappresentante nazionale del Sap, sindacato autonomo di polizia.
Peccato che atti giudiziari e autopsia dimostrino il contrario: ecchimosi in tutto il corpo, morte constatata per anossia posturale, e testicoli spappolati non sono certo il segno di un fermo “innocente” come dimostrano anche i due manganelli spezzati dalla violenza con cui sono stati utilizzati.
Parole, quelle di Tonelli, che uccidono nuovamente Federico come anche i cinque minuti di applausi con cui sono stati accolti tre dei quattro agenti condannati in via definitiva e presenti ieri al congresso nazionale del Sap.
Immediata la solidarietà espressa ai parenti di Aldrovandi dal capo della polizia Alessandro Pansa, del premier Matteo Renzi e del ministro dell’Interno Angelino Alfano.
E le parole di Tonelli fanno ancora più rabbia. Parla di pietismo. Pietismo davanti a una madre il cui figlio è stato ammazzato da chi rappresenta lo Stato. Pietismo davanti a un giovane di 18 anni la cui vita è stata spezzata da calci, pungi e manganellate di poliziotti esaltati. Ipse (Tonelli) dixit: «Se la madre di Federico dice che soffre per gli applausi mi dispiace, non replico al dolore di una madre. Ma non bisogna confondere la verità col pietismo. Noi riteniamo che la condanna sia sbagliata e credo si debba fare chiarezza».
Ma poi la vergogna delle parole del rappresentante del Sap raggiunge la sua acme: «C’è un ragazzo morto? Tutti giorni muoiono persone giovani sulle strade ma non per questo la colpa è delle strade. Se uno legge gli atti giudiziari si rende conto che le causa della morte di Federico Aldrovandi siano altre, non quelle stabilite dalla sentenza». E invece proprio leggendo i fascicoli ci si rende conto di quanto avvenuto quella notte per le strade di Bologna. Lo hanno ucciso. Punto. Lo hanno picchiato, si sono accaniti sul corpo inerme, e all’arrivo dell’ambulanza il giovane riverso a terra aveva ancora le manette ai polsi.
«Considero i colleghi condannati per errore giudiziario e cerchiamo una revisione del processo. Se un suo collega è condannato ingiustamente è un delitto solidarizzare?», dice Tonelli. No il delitto è uccidere un ragazzo a calci e manganellate.
«Non temo ripercussioni. Ho applaudito, non mi nascondo dietro un dito. Se non siamo più liberi di solidarizzare con un collega condannato ingiustamente allora meglio che chiudiamo la baracca. Poi il prefetto Pansa dovrebbe pensare che è il capo della Polizia», conclude.
Il 21 giugno 2012 le condanne sono state confermate: tre anni e sei mesi di reclusione. Ora quei volti di Stato vogliono chiedere che la sentenza venga rivista in quanto innocenti.
E Aldrovandi viene ucciso per l’ennesima volta da queste parole.

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