Maurizio Molinari, direttore de “La Stampa” dal novembre 2015, è una persona dai modi pacati e dalla voce che non tradisce oscillazioni. Almeno è apparso tale nell’ospitata al Telegiornale Rai del Piemonte, edizione delle 14.
Intervistato dalla conduttrice sui 30 anni di Torino Sette, il magazine di tutto un po’ interno al quotidiano, Molinari ha con grande candore ricordato con risposte flash i legami tra la città e il quotidiano, chiamato anche “la busiarda” negli anni del secondo dopoguerra. Nel giro di pochi mesi, in effetti, è il secondo anniversario che la Stampa festeggia, dopo quello del 9 febbraio per i 150 anni della sua nascita.
Ma tra le feste ricordate e celebrate, il direttore Molinari ha tralasciato quella che la proprietà riserva quotidianamente ai dipendenti, ai giornalisti, diventati sempre meno come le copie vendute nelle edicole. Una emorragia di copie che nessuno a quanto pare né sa spiegare o vuole spiegare, né sa arginare, nemmeno con le nostalgie di un glorioso passato. Intanto la proprietà (il gruppo editoriale di Debenedetti) per far quadrare i conti aprirà a breve i suoi uffici alla redazione torinese di Repubblica.
Si chiama razionalizzazione delle spese o dei costi, se preferite. Ma ricorda tanto da vicino le peripezie di quei nobili decaduti che finivano per affittare i loro palazzi a borghesi, quegli stessi che qualche anno dopo glieli avrebbero comprati per un tozzo di pane. Esattamente come in Italia si compra e vende il pluralismo dell’informazione.