Centoventidue oggetti sono stati avvistati dai satelliti nell’area dell’Oceano Indiano in cui si sarebbe inabissato il Boeing 777 della Malaysia Airlines scomparso lo scorso 8 marzo.
I resti che arrivano fino a una lunghezza di ventidue metri e potrebbero appartenere proprio a quel volo di linea.
Le autorità avevano parlato di ghost flight: l’aereo avrebbe percorso molti chilometri con il pilota automatico mentre a bordo erano già tutti morti.
Per fare chiarezza però bisognerebbe riuscire a trovare il relitto e recuperare le scatole nere che potrebbero così raccontare gli ultimi istanti e cosa veramente sia successo.
Ma le ricerche sono più difficili di quanto si possa immaginare. Infatti, oltre alla grande profondità del mare e alla distanza dalla terraferma, c’è un elemento che complica decisamente le cose: i vulcani sottomarini.
Gli esperti hanno infatti avvertito come l’area a 2.500 chilometri a sud-ovest di Perth, nell’Australia Occidentale, abbia un fondale in continua mutazione.
In merito è intervenuto il ministro della Difesa e dei Trasporti, Hishammuddin Hussein: «Si tratta di un caso senza precedenti. Chiunque vi abbia avuto a che fare, tutto quello che abbiamo passato, mi hanno evidenziato come il lavoro da noi svolto sia stato davvero ammirevole. Non molti Paesi al mondo sarebbero riusciti a farne collaborare 26 tutti insieme – ha rivendicato con riferimento ai partecipanti alle operazioni di ricerca – Non molti Paesi – ha concluso – sono in grado di ottenere assistenza da ogni angolo del pianeta tramite la disponibilità degli aerei più sofisticati esistenti».
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