C’era una volta Enrico Berlinguer, segretario del partito comunista italiano, il più grande partito comunista d’Europa. E ai vertici di quel partito c’era un torinese con una lingua affilata come un rasoio, che non risparmiava sugli avversari, senza disdegnare di togliere occasionalmente qualche lembo di pelle anche ad amici e compagni di partito.
Quell’uomo era Giancarlo Pajetta, classe 1911, per undici anni prigioniero nelle galere fasciste. Di lui ricordiamo una leggendaria rasoiata proprio al mite Enrico Berlinguer, quando con una battuta, che tradiva una ferocia politica non comune, disse che “si era iscritto giovanissimo alla Direzione del partito”, frase esplicita che non aveva necessità di esegesi.
Ora, dopo la recentissima iscrizione al Pd del ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda, ultima tessera in ordine di tempo, con l’implicita ammissione a volerne diventare il numero uno, “percepisco” che soltanto uno come Giancarlo Pajetta avrebbe la giusta illuminazione per aiutare tutti noi a sorridere, perché si è quanto mai prossimi ad un pianto collettivo.
E non bastano le parole evangeliche del “Beati gli ultimi, saranno i primi” per esorcizzare la paura di scoprire che si può scalare il Pd meglio e più di un’Opa nel giro di 24 ore. Non basta. Anche perché Calenda pochi mesi fa spiegò urbi et orbi che la paura andava “esercizzata”, proprio così “esercizzata”. Che si riferisse alle sconfitte elettorali, quante ancora per i Dem?