di Bernardo Basilici Menini
Come spesso accade, tutto parte dai social. In questo caso tutto parte da chi, facendo un giro per i famosi mercatini di Natale coi Fiocchi, ha notato che qualcosa non tornava: le promesse su un commercio di eccellenza torinese non erano state mantenute. I prodotti tipici, l’artigianato locale, i produttori a chilometro zero: ecco gli ingredienti che avrebbero dovuto cucinare i mercatini delle piazze torinesi per le festività natalizie.
D’altronde, oltre alle possibilità economiche che sarebbero state date ai produttori di eccellenze in città e nell’hinterland, c’è la questione delle piazze auliche, da non sottovalutare: per una città che sempre di più punta a essere una meta turistica e un punto di riferimento culturale in Italia, in occasione delle festività natalizie la necessità di dare una buona immagine non passa in secondo piano.
Fattore di cui si era resa conto anche la giunta, nel momento in cui ha deciso di spostare i mercatini in piazza Castello, con la famosa “sanatoria” che ha destato molte polemiche. Per la piazza simbolo della città era infatti previsto dalla delibera «Un numero ridotto di chalet e concepito in modo armonico con allestimenti che minimizzino l’impatto sullo scenario monumentale e con il divieto alla somministrazione di cibo e bevande, ma che comprenda solo la vendita di artigianato di eccellenza o prodotti alimentari confezionati e adatti a creare un’atmosfera natalizia».
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Il problema, fanno notare in tanti, è che la merce in mostra in piazza Castello non sembra né di eccellenza, né artigianale, né locale. Dagli chalet spunta in vendita di tutto: padelle, piatti, pentole, sciarpe di produzione industriale. La poca gastronomia tipica proviene da zone lontane dal capoluogo piemontese: babà napoletani, strudel tirolesi, passolana palermitana e altri ancora. Le foto postate su Facebook dal consigliere del Partito Democratico Enzo Lavolta hanno fatto velocemente il giro della rete e scatenato reazioni che vanno dall’indignazione all’ironia.
E se in piazza Castello la faccenda stride particolarmente a causa della vicenda che ha portato ivi i mercatini, in altre zone si assiste comunque a un commercio che almeno sulla carta si discosta dal profilo previsto. Bisognerà vedere se all’apertura degli stand dello street food il cibo in somministrazione proverrà realmente dalla produzione locale, o se gli hot dog verranno considerati tipici del tessuto piemontese.
Inferociti gli artisti-artigiani: «Lo avevamo detto che sarebbe finita così. Sinceramente vogliamo capire cosa intenda la giunta per “eccellenza artigiana”, dato che secondo la definizione nelle normative della Regione Piemonte i prodotti esposti proprio non lo sono. Noi avremmo garantito artigianato, qualità e varietà, mentre ora tutti i prodotti sono uguali. Oltretutto è scorretto nei confronti dei commercianti che hanno attività fisse, che adesso si trovano una concorrenza al ribasso».
Quello che per il momento sembra certo è che, almeno in piazza Castello, gli stand hanno disatteso vistosamente le linee guida del Comune. Che a questo punto potrebbe chiedere spiegazioni a chi quegli spazi li ha affittati ai commercianti: il CAT.