Guadare a Torino nella sua complessità, tenendo focalizzate le priorità collettive quali diritto all’istruzione, alla qualità della vita, soprattutto al lavoro che dà dignità. All’orizzonte del Partito Comunista c’è Torino e il suo sviluppo, andando oltre le figurine dei giocatori che si vogliono mettere in campo, ma con la costruzione di un solido programma di lavoro e di governo. Lo afferma con determinazione il segretario regionale del Partito Comunista e responsabile nazionale Lavoro Matteo Mereu, alla guida di un impegno capillare per Torino città futura, guardando naturalmente alle amministrative di tarda primavera.
La divaricazione delle differenze, delle disparità, è stata esasperata dalla violenza della pandemia. Sarà una campagna elettorale complessa e inedita, che ne pensa?
La situazione è difficile, basta prendere ad esempio un elemento fondamentale per l’economia della nostra città: il turismo. Parliamo di 5 miliardi di euro di perdita, di 35mila dipendenti del settore a rischio; altrettanti rischiano nel comparto automotive, a causa della fusione, che definirei più acquisizione, di Peugeot con Fca, tutto il comparto della logistica, com’è già stato comunicato la scorsa primavera, della componentistica che attualmente o fino all’anno scorso faceva riferimento a Fca, non verrà toccato minimamente dalla fusione. Quel comparto fa direttamente riferimento ai francesi, i fornitori saranno quelli francesi e non quelli italiani.
E’ palpabile una certa preoccupazione…
E’ evidente: tra pochi mesi avremo lo sblocco dei licenziamenti e in un contesto come questo si prevedono lacrime, sudore e sangue. Tutto ciò accade in un contesto cittadino in cui la discussione sembra concentrata più sulle figurine, anziché su un progetto di rilancio della città.
Eppure sui giornali il dibattito sembra vivace, su cosa dovrà essere la città…
Sia da parte di chi in questo momento sta governando sia da parte di chi dovrebbe farsi carico di un’eventuale alternativa, non vedo grandi prospettive all’orizzonte. Torino è una città che rischia di essere abbandonata a sé stessa.
Quali sono le basi di questa visione?
Gli indicatori dell’osservatorio della fondazione Giorgio Rota fotografano una città che perde quota rispetto alle altre città metropolitane. Per i suoi indicatori di sviluppo, di attrattiva, di opportunità di lavoro. Questo è significativo della capacità di saper affrontare le situazioni di crisi: non parliamo solo di quella più recente causata dal Covid, ma stiamo pagando anche quella economica che permane dal 2009.
Tra la rosa dei candidati di cui si legge sui giornali, qualcuno vi convince più di altri? Non si tratta di fare un endorsement; secondo voi, c’è un nome che potrebbe essere collettore dei bisogni cittadini?
Guardiamo alla città: le parti che sono andate avanti lo hanno fatto indipendentemente dalla capacità della politica di intercettarle: i pochissimi che sono stati in grado di far fronte alla crisi, per condizioni economiche o perché vivono in contesti aziendali che glielo possono consentire, lo fanno da soli. Credo che il dibattito che si è espresso in queste settimane sia significativo di questa lontananza: penso alle parole del segretario regionale del Pd Paolo Furia, quando non potendo più contare sulla candidatura del rettore del Politecnico Saracco, con la discesa in campo di Salizzoni e di altri candidati sindaci autoproclamatisi del Pd, più o meno con caratteristiche di valore, ha posto come soluzione un referendum, o un sondaggio presso i cittadini per far scegliere il candidato. questo è indicativo del problema.
La questione sembra dunque essere tra chi incarna il progetto e il progetto per la città. Chi viene prima?
E’ evidente che uno non può fare a meno dell’altro però, se non parti con un progetto di base condiviso all’interno della tua componente politica, è difficile poi essere riconosciuti come un’alternativa credibile. Noi stiamo parlando a una città che si è notevolmente impoverita, che è come una grande periferia, al di là delle differenze politiche delle ultime elezioni. Il fatto che il Pd prenda i voti soprattutto nelle zone centrali della città mentre, appena fuori, Lega e Fratelli d’Italia hanno più successo, è significativo della distrazione dagli interessi della città, che perde forza lavoro, che è la terza in Italia per numero di residenti iscritti al registro degli italiani all’estero.
La fuga dei giovani che studiano, magari nei nostri Atenei, per poi andare all’estero, è un problema più volte sottolineato…
E’ significativo, perchè le nuove generazioni non vedono futuro innanzi a loro. A Torino come in città metropolitana, fuori dalla cinta daziaria la situazione non è diversa. La politica non è in grado di dare una prospettiva, perchè concetrata su un gioco di figurine che a noi non interessa.
A voi cosa interessa; siete stati consultati o ascoltati, fate parte del dibattito per costruire quella città che vorreste?
Il Partito Democratico, considerato che coi Cinque stelle è al governo, a livello locale dice che non ci saranno alleanze. A livello nazionale però non ha sostanzialmente cambiato il disegno governativo di Lega e Cinque Stelle: per esempio nei decreti sicurezza di Salvini, la parte legata ai migranti, quella che sopprimeva i diritti dei lavoratori in caso di sciopero o la possibilità di manifestare in piazza, non è stata minimamente toccata. Già solo questo potrebbe essere un discrimine, ma considero un discrimine il fatto che non ci sia un cambiamento di strategia rispetto alla strategia che ha portato alla sconfitta nel 2016 e ai motivi che l’hanno causata.
Quindi andate avanti con un vostro progetto. Cosa prevede?
Il Partito Comunista sta costruendo un programma su lavoro, politiche sociali, istruzione, internazionalizzazione, salute, integrazione. Questa città ha bisogno di concentrarsi su chi è rimasto indietro e man mano che passa il tempo e la politica discute nei propri salotti delle figurine, il disagio della città aumenta, cresce l’impoverimento e il numero delle persone che fanno riferimento ai servizi sociali.
Come state costruendo il dialogo con le parti della città?
Abbiamo costruito un percorso che non è esclusivo nel Partito comunista, abbiamo aperto un dibattito con diverse realtà, siamo molto favorevoli alle alleanze sociali, dialoghiamo con molte categorie della città, i lavoratori autonomi, dipendenti, i tassisti e molte altre. Stiamo dialogando per mettere in piedi un programma che veda al centro il lavoro.
E la vostra lista?
La lista del Partito Comunista per le elezioni amministrative nascerà da questo lavoro, e anche alcune liste civiche ad essa collegate. Il nostro progetto per Torino città futura. Le elezioni per noi sono un momento di passaggio della costruzione del Partito, soprattutto per presentare modelli diversi. Lo faremo costruendo un’iniziativa coi sindaci comunisti che ci sono in Europa, grazie alla nostra fitta rete i rapporti internazionali.
Code davanti ai musei, code davanti alla Caritas. Oggi, quelle ai musei non le vediamo più, e chissà quando le vedremo. La povertà è ancora in fila?
La sindaca Appendino si era candidata dicendo che voleva cancellare le code davanti ai centri per l’impiego: quelle ci sono ancora; sono aumentate quelle davanti alla Caritas di persone che chiedono un pasto caldo. Non c’è prospettiva. Si parla di Smart city: se ne fa riferimento in quasi tutti i programmi. A Torino se ne fa cenno solo quando si parla di monopattini o di bus elettrici.
Per voi come dovrebbe essere Torino smart?
La smart city prevede un concetto importante e chiave che è l’innovazione sociale, quella che mette al centro l’individuo e la sua capacità di far crescere la società. Sui dati di Almalaurea, calcolando gli studenti che si iscrivono all’università, ogni anno ne perdiamo almeno la metà di quelli che non terminano il percorso universitario. Quella metà arriva da percorsi tecnici professionali, e non liceali. Quindi c’è una città dove l’ascensore sociale si è bloccato molto tempo fa. Noi vorremmo trovare le leve per sbloccarlo. Garantendo prospettive di sviluppo e lavoro.