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sabato, 27 Luglio 2024

500 elettrica a Mirafiori, l'Italia al volante

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

L’annuncio di Fca di nuovi investimenti, 5 miliardi di euro entro il 2021, è una buona notizia per l’Italia. Non solo per l’occupazione, ma per lo sviluppo del Paese a cominciare dalla grande filiera dell’automotive piemontese che avrà una nuova sfida da affrontare.
Tra suv e restyling di modelli già in produzione, previsti nei prossimi anni, compare il segnale che si aspettava da tempo: la decisione di Fca di costruire la prima vettura elettrica in Italia, una 500, che sarà pronta per il primo trimestre 2020.
Verrà realizzata proprio a Mirafiori ed è un riconoscimento per la fabbrica, per la città, e per le conoscenze diffuse in quest’area. Fca sta già producendo da sei anni una 500 elettrica in California. Un modello obbligato dai regolatori californiani, rigidamente ambientalisti, a cui l’ex Sergio Marchionne non ha mai creduto fino in fondo: pur essendo un’auto costosa, più o meno 35 mila dollari, e pur restando tra le dieci auto elettriche più vendute oltreoceano, produce una perdita secca di almeno 14mila dollari a vettura.
Per questo, in modo quasi anacronistico, Marchionne invitava a non comprarla. Ma è evidente che la storia del trasporto non può che andare verso le zero emissioni, pena il collasso. Lo ha chiarito il presidente Fca John Elkann di recente: «Siamo alle soglie di una profonda rivoluzione nel mondo dei trasporti. Forse la più grande da quando l’automobile ha sostituito cavalli e carrozze» – ha affermato Elkann che ha aggiunto: «Ci sono almeno due forze di innovazione e cambiamento profonde che stanno trasformando l’auto tradizionale. Da una parte la guida autonoma. Dall’altra nuove forme di propulsione, che portano il mondo verso le emissioni zero».
E ieri la dichiarazione ai sindacati, che ha anche un forte valore simbolico perché arrivata dal responsabile europeo dell’azienda, il torinese Pietro Gorlier. Ma per quanto anche nelle aziende più strutturate non ci sia mai un manager identico all’altro perché ognuno ha una sua impronta, sarebbe sbagliato parlare di rivoluzione verde per Fca.
L’azienda, e la Fca fra queste, non è un ente di beneficenza, e se il prodotto non paga, prima o poi si sbaracca. E poi bisogna ricordare quanto diceva lo stesso Marchionne l’anno scorso, ricordando che l’alimentazione elettrica «va raggiunta con lungimiranza e realismo perché le emissioni di un’auto elettrica, quando l’energia è prodotta da combustibili fossili, nella migliore delle ipotesi sono equivalenti a quelle di un’auto a benzina» senza considerare che a livello mondiale «due terzi dell’energia elettrica deriva da fonti fossili».
Questo per dire che malgrado ci siano produttori come Tesla, che investono fior di miliardi nella ricerca di batterie più efficienti ed economiche, e che l’industria deve fare la sua parte, anche il Paese deve fare la sua. La politica industriale non può essere delegata ad una azienda.
Lo stop ai diesel è ormai nei fatti, malgrado il motore, insostenibile ambientalmente, sia tecnicamente un gioiello.
In Francia l’aumento della benzina, ha avuto un impatto clamoroso, con la rivolta dei gilet gialli. Provvedimenti controversi e controproducenti se non accompagnati da alternative. Il Paese, dal governo fino alle amministrazioni locali, insomma deve tracciare la strada. Con provvedimenti fiscali e infrastrutture adeguate per sostenere le tecnologie non inquinanti, senza perdere tempo.
Non ce n’è molto.

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