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mercoledì, 23 Ottobre 2024

Quando in via Garibaldi scorreva la doira

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Scritto da Gabriele Richetti
Decumanus Maximus, via Dora Grossa, via Garibaldi. Tre nomi diversi per la stessa porzione di città, arteria fondamentale di Torino evolutasi nel tempo al pari di molte altre storiche vie.
Del resto, si può tranquillamente dire che Torino sia nata in Via Garibaldi.
Un po’ di storia
L’antica via costituiva il Decumano dell’allora Julia Augusta Taurinorum, con la funzione di collegamento tra due delle quattro porte della città (precisamente, l’attuale Palazzo Madama e una porta, ormai scomparsa, situata all’altezza di via della Consolata).
Nei secoli successivi alla caduta dell’Impero romano d’Occidente la via seguì un destino comune ad altre arterie, perdendo di valore e di bellezza, dimenticata tra terreno fangoso e bassi fabbricati. Nondimeno mantenne intatto il suo ruolo commerciale: i mercanti che entravano in città dovevano necessariamente attraversarla per avvicinarsi al centro storico.
Nel 1573, grazie a Emanuele Filiberto, ecco la rinascita.
Il progetto di Emanuele Filiberto
Nel 1573 il sovrano sabaudo, per ragione di pubblica politezza, decise di canalizzare l’acqua della Dora per ripulire molte vie che nei secoli avevano accumulato sporcizia e detriti.
Il nostro fu uno dei percorsi interessati: ecco che al centro della strada cominciò dunque a scorrere un rigagnolo scoperto (doira in piemontese), che ebbe persino l’effetto di cambiare il nome alla via (via che, dopo essere stata il Decumano dell’antica città, aveva sì conosciuto altre definizioni, ma temporanee e meno importanti) e alla contrada stessa: nasce la Contrada di Dora Grossa. Le doire, così deviate nelle strade, secondo Goffredo Casalis “servivano a sgombrarle dalla neve e dalle immondizie, a rinfrescarle negli estivi ardori, ed a porgere rapidamente gran copia d’acqua per lo spegnimento degli incendi”.
La funzione del provvedimento ci viene confermata, ancora a metà ‘800, dalle parole di Giuseppe Torricella in Torino e le sue Vie: “Nel 1573, allo scopo d’introdurre l’acqua della Dora Riparia in città per tenerla sgombra dalle nevi e dalle immondizie, per adacquare giardini, e rinfrescar le strade negli estivi ardori, il duca Emanuele Filiberto fece costruire sulla riva sinistra del fiume un edifizio detto il Casotto, ove raccolte le acque della Dora si riversavano nelle vie. Un rivo d’acqua che scorra al piano in dialetto torinese chiamasi doira, e siccome quello che passava in questa località era il più copioso, così dicevasi doira grossa”.
L’evoluzione non si ferma
Certo, la doira riduceva abbastanza il tratto transitabile della via: carri, pedoni e cavalieri dovevano stringersi per evitare il rigagnolo, essendo la strada, a quell’epoca, larga non più di 4/5 metri. Tra il XVIII e il XIX secolo Via Dora Grossa vede però prolungato e migliorato il proprio tracciato: gli edifici tornano regolari, i fabbricati vengono uniformati e gli esercizi commerciali tornano a popolare i pianterreni dismessi. Dotata persino di un sistema di marciapiedi, ritenuto uno dei primi in Europa, via Dora conosce il suo maggiore sviluppo dopo essere stata collegata a Piazza Statuto.
Dopo l’Unità d’Italia (e dopo aver cambiato un altro nome, Rue du Mont-Cenise, durante l’occupazione napoleonica) ecco che via Dora Grossa assume il nome che ancora oggi la denota, quello di Via Garibaldi: il rivolo d’acqua che la aveva caratterizzata per tre secoli viene interrato, e con esso la sua storia. Una storia di madame sollevate durante l’attraversamento della strada per evitare di bagnare le proprie gonne, di mercanti arrivati da lontano, di orefici e bottegai dei tempi che furono.
Giuseppe Carducci sembra spiegarci, attraverso la sua poetica romantica ed eroica, il perché sia stato scelto il nome di Giuseppe Garibaldi. Chi imbocca via Garibaldi al tramonto da Piazza Castello, scrisse il poeta, sembra infatti vedere, “sulla bianca cortina delle Alpi che chiude la via a ponente, fra i vapori del crepuscolo, disegnarsi una grande ombra che pare abbia rossa la veste e bionda la capelliera. È quella l’ombra dell’Eroe d’Italia che veglia sulle Alpi della Sua Patria”.
Per dirla con Edmondo De Amicis
Migliore omaggio alla nostra Via Dora Grossa non possiamo trovare se non citando in conclusione le parole di un cittadino doc come Edmondo De Amicis.
Queste le parole che il grande scrittore dedicò, nel 1864, all’odierna Via Garibaldi: “Per chi entra in via Dora Grossa dalla piazza Castello con tempo sereno, la vista è più attratta dalla cortina bianca delle Alpi che chiude la via a ponente, che non dalla sequenza delle facciate delle case che stagliano un lunghissimo rettangolo di cielo fra le due file di case uniformi, su cui lo sguardo scivola dal cornicione al marciapiede, senza trovar nulla che l’arresti, allineate come lo erano i vecchi reggimenti piemontesi, con regolarità che a grado grado fa forza al gusto e soggioga la fantasia… a poco a poco anche il forestiero prende amore a quest’uniformità che lascia la mente libera, a questa specie di dignità edilizia. Non c’è infatti il palazzo vistoso del gran signore che schiaccia gli edifici circostanti e da l’immagine d’una vita splendida e superba. L’architettura è democratica e uguagliatrice. Le case possono chiamarsi fra loro “Cittadina” e darsi del tu”.

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