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giovedì, 19 Settembre 2024

Turchia, Narin Capan a processo il 26 maggio

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

di Andrea Doi

Ricordate il caso Zaman, la chiusura del principale giornale turco d’opposizione, con l’accusa di supportare uno “stato parallelo” a quello presieduto da Tayyp Erdogan? O quello dei due giornalisti Erden Gul e Can Dundar, detenuti per mesi per aver mostrato le immagini di un’auto piena di armi che si recava in Siria dalla Turchia, guidata da agenti turchi? O ancora quello del giornalista di Vice  Mohamed Rasool, che ha dovuto passare a sua volta mesi in cercere, in Turchia, per aver realizzato reportage sul conflitto tra il governo e i curdi nella provincia di Sirnak?

Narin Capan è al centro di un nuovo caso di limitazione, in Turchia, della libertà di stampa: giornalista della televisione Diha e dipendente della municipalità di Silvan, piccolo centro abitato nella provincia di Diyarbakir, si trova in carcere da oltre un mese con l’accusa di aver aiutato due giornalisti stranieri, uno dei quali corrispondente di Nuovasocietà, a fare il proprio lavoro nella sua città. Dovrà comparire il 26 maggio di fronte a un giudice con l’accusa di “offesa allo stato” e “appartenenza a un’organizzazione terroristica”.

Narin fu fermata sulla strada principale di Silvan il 30 ottobre scorso con due giornalisti, entrambi italiani. Uno di loro era Davide Grasso, freelance, che realizzava in Turchia un reportage per il nostro giornale, alla vigilia delle elezioni nel paese. I tre furono portati in diverse stazioni di polizia, schedati e addiruttura privati di una siringa del loro sangue per mai chiarite finalità di “archiviazione” biologica. Furono interrogati per ore e invitati più volte a chirire le loro opinioni politiche, oltre che a dichiarare la loro identità etnica. Furono loro poste domande circa le loro credenze religiose, non senza qualche inopportuno commento da parte degli agenti in seguito a risposte considerate “empie” su questa materia.

La giornata di ordinario abuso da parte delle autorità turche sulla stampa interna e internazionale si concluse tuttavia con il rilascio dei tre fermati, che restarono accusati a piede libero di “propaganda per un’organizzazione terroristica”: l’ipotesi della polizia è che i due inviati avessero avuto in quella giornata contatti con la guerriglia curda, che gli agenti ritenevano presente in città. Ciononostante, in tutto il materiale tecnologico e cartaceo sequestrato ai due reporter e alla ragazza dagli agenti al momento del fermo, il giudice non ha potuto trovare alcuna prova di questi contatti. Non a caso il fascicolo è stato archiviato dopo qualche mese.

Il 30 marzo, però, la polizia ha fatto irruzione nella casa di Narin Capan, arrestandola. La nuova accusa è di “aver offerto un’immagine negativa della Turchia” ai due giornalisti stranieri, ma c’è di più: Narin sarebbe, secondo il giudice che istruisce il caso, una “terrorista” in quanto parte delle forze armate femminili curdo-siriane Ypj. Com’è possibile? La prova sarebbe una foto sul cellulare che ritrae la ragazza (sempre secondo gli agenti) a Kobane; e poco importa che migliaia di persone siano state a Kobane, in questi anni, senza essere in alcun modo parte delle Ypj, e che soprattutto Narin non possa farne parte, perché vive e lavora a Silvan: uno stato interessato da una svolta sempre più autoritaria in materia di diritto d’informazione sembra aver trovato un’altra occasione per intimidire chi vuole che ciò che accade in Turchia sia conosciuto all’esterno, oltre che nel paese in cui vive.

Oltre a Narin, altri otto corrispondenti dell’emittente Diha sono stati arrestati nelle ultime settimane. Le condizioni di detenzione di Narin Capan sono difficili, ha dichiarato a Nuovasocietà la famiglia, anche a causa delle norme rigide imposte al carcere di Diyarbakir dopo l’evasione di quattro detenuti tre mesi fa. Il direttore di Nuova Società ha chiesto al ministro degli affari esteri Paolo Gentiloni di chiedere delucidazioni al console italiano in Turchia sulla vicenda, e ha chiesto un incontro con l’ambasciatore turco a Milano. È possibile scrivere a Narin Capan a questo indirizzo: Narin Capan 21600 Diyarbakir E tipi kapali cezaevi B blok 3 Kogus.

 

Tutta la storia di Narin Capan è stata pubblicata sul n°5 del mensile Nuovasocietà che puoi trovare in edicola o in redazionecopertinamaggions

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