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mercoledì, 23 Ottobre 2024

Sudditi di “FAP”pendino

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di Gianmaria Cavaldrago

L’idea di affrontare i problemi dell’inquinamento con i blocchi del traffico è la modalità più vecchia del mondo.

Chi conserva un po’ di memoria storica ricorderà che anche recentemente, negli anni 2000 (e non solo negli anni 70) le amministrazioni locali hanno fatto ricorso alle targhe alterne; si sono istituite delle ZTL nelle aree a massima concentrazione urbana e si sono adottati provvedimenti di limitazione permanenti sulle motorizzazioni più vetuste (non catalizzate dette anche euro 0). A questi provvedimenti sono stati attribuiti significati anche diversi: da un lato, misure contingenti, ma dall’altro anche l’avvio di un percorso teso a ridurre l’impatto delle motorizzazioni più inquinanti. Provvedimenti comunque “democratici” perché le targhe alterne colpiscono tutti e comunque programmati come le ZTL.

È orientamento scientifico consolidato che siano molte le sostanze inquinanti da monitorare nelle aree urbane; le più rilevanti (ed oggetto di misure di riduzione) sono alcuni inquinanti gassosi, biossido di azoto (NO2), ozono (O3), monossido di carbonio (CO), biossido di zolfo (SO2) e benzene (C6H6)) la cui presenza, in particolare nelle aree urbane può essere messa in relazione direttamente o indirettamente con le emissioni da trasporto su strada. Insieme a questi particolare rilevo assume il materiale particolato e in questo caso di rilievo è l’insieme delle particelle atmosferiche solide e liquide aventi diametro aerodinamico inferiore o uguale a 10 μm (PM10). Molte di esse non sono una “esclusiva” delle motorizzazioni diesel, e, leggendo i numerosi studi in materia si apprende facilmente che il Pm10 è generato da ceneri, prodotti di combustione di vario tipo-non solo di origine veicolare, pollini vegetali, sabbie fini, frammenti di fibre tessili, consumo di pneumatici, prodotti di abrasione del sistema frenante, coperture di intonaci. Insomma, nel parco veicolare i diesel sono più inquinanti dei motori a benzina, ma il pm10 non è solo di origine veicolare e, in ogni caso, pneumatici e freni li hanno pure i veicoli a benzina, e addirittura quelli elettrici.

Ma in questa sede non vogliamo cimentarci in giudizi scientifici. Ci sono versioni e tesi anche discordanti. Ci interessa mettere in relazione questo problema col comportamento del decisore pubblico, e, nello specifico, l’amministrazione Appendino.

In primo luogo, il blocco delle motorizzazioni euro 4 diesel e la contemporanea circolazione degli euro 1 benzina suona come una beffa.

Ampi settori della popolazione ha seguito i richiami alla responsabilità ambientale, sostituendo recentemente i propri mezzi con veicoli più moderni. In tantissimi, coniugando economicità di gestione e rispetto ambientale hanno acquistato fino al 2009 veicoli euro 4 diesel, i primi a dover montare il fap di serie dal 2006, il famigerato filtro antiparticolato. Queste sono famiglie comuni, non disattente alle tematiche ambientali, attente per quadrare i propri bilanci ai minori costi del carburante diesel: non sono in grado di cambiare il veicolo ogni 3-4 anni, tantomeno in piena crisi economica. E così, senza preavviso e senza alcuna programmazione anche chi usa poco l’auto euro 4 faticosamente acquistata, soggiace alla dittatura catastrofista del batuffolo della Appendino che di fatto favorisce i ricchi, chi si può permettere auto a noleggio a lungo termine, e chi magari gira con motorizzazioni esose in cilindrata, e lo fa tutti i giorni, a discapito dei tapini che vorrebbero anche loro il proprio (anche sporadico, ma libero) diritto alla mobilità.

Senza programmazione, con una politica di annunci fatti la sera per la mattina dopo, la rinuncia forzata al diritto alla mobilità significa per quelle famiglie proprietarie dei veicoli euro 4 farsi carico di numerosi costi e contrattempi: baby sitter, attività pomeridiane saltate, una complicatissima agenda planning familiare.

In questi blocchi (che, lo ricordiamo, sono ben oltre i protocolli regionali) è possibile vedere convivere sia un fanatismo scientista, sia echi dei fumosi spettacoli di Grillo dei primi anni duemila (ricordate quello della crociata contro i diesel e delle auto che viaggiavano con olio di colza?), sia l’esigenza di dare segnali ad un elettorato ambientalista ultraminoritario, ma anche una concezione classista che punisce il ceto medio e salvaguardia quella categoria rappresentata dal grande e nuovo suv di lusso che circola tranquillo. Non dimentichiamo chi lavora col veicolo, dove alla beffa si aggiunge il danno, come rappresentato da Confesercenti in un efficace comunicato.

Ora, chi dovesse o volesse cambiare auto si domanderà: chi mi assicura che il mio acquisto duri più di qualche nuovo capriccio proibizionista della Appendino?

Tutto ciò mina (ed è la cosa più grave) quel poco di senso di fiducia nelle scelte razionali delle istituzioni che era rimasto. E mai come ora, al di là dello storytelling grillino, ci si sente sudditi e non cittadini.

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