In queste ore si ricomincia a parlare di Salone del libro. Il liquidatore della Fondazione ha detto (e ribadito in queste ore) che non riuscirà a pagare i fornitori e probabilmente anche i dipendenti. Intanto il direttore Nicola Lagioia – in un’intervista rilasciata ad un quotidiano torinese – afferma che l’edizione 2018 sarà all’insegna della instabilità. Dunque per capire meglio quanto sta accadendo, vale la pena ricostruire gli ultimi mesi di vita della Fondazione stessa. Una vicenda articolata, che proviamo a riassumere, aggiungendo però qualche spunto nuovo.
Il bilancio 2016 e il giallo della valutazione del marchio
A novembre 2017 (e in ritardo) si è chiuso il Bilancio 2016 della Fondazione. Il fatto è noto alle cronache soprattutto perché all’interno del bilancio si è operata la svalutazione del marchio del “Salone del libro”. Svalutazione contestata dai Revisori dei Conti, e anche da ampi settori della politica. In effetti nessuno (nemmeno l’assessora comunale alla Cultura Francesca Leon) ha saputo spiegare la scelta dell’organo amministrativo (presidente e co-presidente sono Sergio Chiamparino e Chiara Appendino), operata sulla base di una nuova perizia non asseverata che ha completamente ribaltato il valore del marchio. Il collegio dei Revisori dei Conti ha così scelto l’opzione del parere «impossibilitato ad esprimere un giudizio» sul Bilancio 2016.
Nella loro relazione esprimono forti dubbi sulla decisione, da parte dei soci, di procedere alla svalutazione del marchio dopo un parere espresso dalla Jacobacci&Partners «sulla base di criteri difformi rispetto a quelli adottati nella precedente stima del 2009». Secondo il collegio presieduto da Paolo Ferrero «la decisione della svalutazione, dati i suoi effetti economici e patrimoniali sul bilancio (…) deve essere oculata e documentata, assunta quando esistono obiettive condizioni di irrecuperabilità del cespite e pertanto basata su elementi oggettivi e dimostrabili, quali perizie di esperti e piani futuri di impiego delle immobilizzazioni che la possano certificare adeguatamente».
Peraltro, va osservato, se un marchio pubblico avesse effettivamente un valore e fosse immotivatamente abbattuto, potrebbe addirittura configurarasi una fattispecie di “danno”, anche nel caso in cui lo stesso non fosse adeguatamente valorizzato in caso di liquidazione dell’ente. Son circolate, negli ultimi mesi, le ipotesi più o meno fantasiose: l’amministrazione comunale, eccedendo forse in prudenza, ha avallato la svalutazione, creando così un “caso politico” sulla Fondazione. Forse temeva un’ennesima inchiesta da parte della magistratura in cui sarebbe stata coinvolta? Inchiesta che poi effettivamente è partita.
Inoltre: l’azzeramento del valore del marchio avvantaggia qualcuno? A rigor di logica potrebbe avvantaggiare chi eventualmente lo rileverà in futuro ad un valore bassissimo. Insomma una storia che non è ancora finita e che è da seguire con molta attenzione.
La gestione e il personale: quei distacchi dal Comune
Come detto all’inizio il direttore della Fondazione è Nicola Lagioia. Al vertice vi è un alto Comitato di Coordinamento, guidato da un presidente e un co-presidente, rappresentati ogni anno a rotazione dal sindaco di Torino anche nella veste di sindaco della Città Metropolitana di Torino, e dal presidente della Regione Piemonte. Quindi il Comune di Torino, non può, come invece è accaduto, dirsi estraneo alla gestione della Fondazione. A settembre 2016, in pieno insediamento da parte della Giunta Appendino, il Comune impiega numerose sue risorse umane per gestire la Fondazione. La posta è alta e Chiara Appendino non vuole sfigurare, essendo il suo primo Salone.
Con l’assessore al Bilancio Sergio Rolando nomina un nuovo segretario generale, un direttore comunale. Sembra subentragli poi un direttore regionale. L’incarico sarebbe dovuto cessare il 31 dicembre del 2016, ma è stato più e più volte prorogato dalla giunta comunale fino all’autunno del 2017. L’assessore Rolando e il vicepresidente della Fondazione, Roberto Moiso, sottoscrivono un apposito protocollo d’intesa. Prorogato pure quello. Nella primavera del 2017 incominca per la Fondazione il D-Day, ovvero lo “sbarco delle truppe comunali”. Sempre su indirizzo della Giunta, vengono “prestati” alla Fondazione alcuni dipendenti comunali, tre responsabili amministrativi: Massimo Giusio, Maria Stefania Salvo e Maria Antonietta Ritrovato, anch’essa responsabile amministrativo, pescata dalla direzione risorse umane.
“non vi è traccia di come e perché siano stati scelti questi dipendenti”
Ma poche settimane dopo, arriva una ulteriore risorsa: Carmen Collura, responsabile amministrativo, che in precedenza ha lavorato per l’attuale vice Presidente del Consiglio Comunale, l’ex assessore all’Ambiente Enzo Lavolta. Le qualifiche assunte in Fondazione da questi dipendenti in distacco parziale sono svariate: dal sito risultava che Giusio si occupasse dell’aspetto legale, Ritrovato di Ragioneria, Salvo di Marketing. La maggior parte degli incarichi sono nel frattempo cessati o scaduti. In quanto deliberati dal Comune di Torino sono tutt’ora reperibili tra gli atti amministrativi.
Al contrario non vi è traccia di come e perché siano stati scelti questi dipendenti, soprattutto in ragione delle competenze attribuite in Fondazione. Ad esempio non è dato a sapersi perché non sia stata stipulata una convenzione sul legale con l’avvocatura comunale. Strane circostanze mentre la giunta pentastellata rilanciava il mantra del “trasparenza competenza e merito”. In primavera inoltrata arrivano altre sei persone, per il Salone: Luigi Borelli, Mariangela Marchese, Monica Sartorio, Valentina Attinà, Roberto Giachino e Franco Cannalire. Anche loro tutti dipendenti comunali. Dalla rosa spicca il nome Roberto Giachino, ex collaboratore di staff di Elda Tessore, e poi più recentemente di Stefano Gallo, ex assessore allo Sport. Tutti nominati, come i precedenti, da atti della Giunta Appendino.
Perché una Fondazione già in crisi si dota di questo corredo supplementare?
Tutti i soggetti indicati precedentemente dovrebbero aver percepito un compenso aggiuntivo complessivo di circa 50.000 euro, sostenuto dalla Fondazione, ma rimborsato al Comune e pagato agli stessi per il distacco parziale. Insomma, non esattamente quattro spiccioli. E mentre questo accadeva la Fondazione aveva difficoltà a pagare i fornitori in modo puntuale.
Stipendi bloccati e l’ultimatum del sindacato
Sul piede di guerra anche i sindacati, i quali, in questi giorni di inizio di primavera 2018, hanno lanciato un ultimatum allla Fondazione: se entro il 15 aprile non arriveranno i stipendi di marzo allora si passerà alle vie legali. Già, perché dodici lavorati hanno ricevuto la busta paga, ma nessun accredito in banca. La giustificazione è che, visto che la Fondazione è praticamente fallita, il tribunale ha congelato il denaro. E non è cosa da poco per chi sta lavorando gratis per la realizzazione dell’edizione 2018 del Salone, anche se dall’organizzazione fanno sapere che c’è una copertura fino a maggio.
Ma allora gli stipendi di marzo perché non sono arrivati?
I conti correnti della Fondazione sono bloccati, come ha spiegato il liquidatore Riccardo Rossotto, per disposizione del Tribunale di Torino, appunto. Una soluzione poteva essere aprire un nuovo conto, sempre legato ad Intesa Sanpaolo come gli altri, ma non è stato possibile. Mentre sono più di settecento i creditori che hanno firmato per il decreto ingiuntivo. Torniamo alle questioni sindacali. La Cgil come detto ha fatto partire il tempo. Due settimane al massimo. Intanto chiederà un incontro con Regione Piemonte e Comune di Torino per discutere del futuro dei dodici lavoratori, visto che l’assessore regionale alla Cultura Antonella Parigi aveva garantito una ricollocazione nella nuova società di tutti i dipendenti. Rossotto dice che se il Tribunale dà il via libera gli stipendi verranno pagati, mentre gli addetti incassano solidarietà dai politici dell’opposizione. Per Luca Sanna della Filcams-Cgil, a cui sono iscritti i lavoratori, ci vogliono certezze. E quelle per ora latitano.
Spezzatino, bad company e un nuovo assetto societario che tarda ad arrivare
L’idea di fare lo spezzatino e di assegnare alla Fondazione per la Cultura e al Circolo dei lettori l’organizzazione del Salone del Libro preoccupa non poco. La Regione sembrava essere l’unica determinata a salvare la “vecchia“ Fondazione del Libro. L’assemblea del 15 novembre infatti sposava la linea regionale. Ma poco più avanti, il 28 dicembre 2017, come abbiamo visto, i soci hanno messo in liquidazione la Fondazione, nominando liquidatore Riccardo Rossotto, da sempre vicino a Sergio Chiamparino e già Presidente uscente del CSI. Nome gradito anche a Chiara Appendino.
Da quel momento l’organizzazione dell’edizione del Salone 2018 è in capo al Circolo dei lettori e alla Fondazione per la cultura del Comune (quella che Appendino promise di sciogliere appena insediata).
Un finale ancora da scrivere, che per ora fa emergere solo domande: sarà garantita la buona riuscita del Salone? Il marchio, pietra dello scandalo, col suo valore alto o basso che sia, di chi sarà? Sarà utilizzato? A che titolo? Intanto maggio si avvicina. Le risposte ancora no.