Non è più musica, non è più melomania, non è più cultura, è soltanto un cocktail di vacuità con una spruzzata di insipienza ciò che accade al Regio di Torino.
“Anno zero per il Regio” ha titolato generosamente La Stampa in una pagina di cronaca. Apprezzabilmente generosa in questo caso la busiarda. Perché il Regio – dopo le dimissioni del sovrintendente Walter Vergnano, la porta sbattuta alle sue spalle, il direttore d’orchestra, il maestro Gianandrea Noseda, accompagnato da un sonoro “sono disgustato” – vive oggi sottozero, congelato.
È congelato nelle sue capacità artistiche, nelle sue prospettive di tournée, è come un animale inseguito da bracconieri che lo vogliono scuoiare vivo, senza comprendere che si tratta di un essere vivente in via di estinzione: è un panda con pentagramma e libretto d’opera.
Ma a Palazzo Civico sembrano muoversi come tanti zombie, incuranti del valore che cancellano, desiderosi soltanto di vendetta, di rivalsa. E quando non si hanno argomenti per difendere scelte discutibili e pericolose per il futuro dell’Ente, ecco comparire la scusa buona per tutte le stagioni: “costa…”.
Così ha detto querula l’assessora alla cultura Francesca Leon, riferendosi alla tournée in America. Già vivere costa, cara assessora, lo diciamo spesso, ma l’alternativa è il suicidio, ed è proprio ciò che non vogliamo per il Regio.