E ci risiamo. Dopo la solenne bocciatura di Franco Marini e di Romano Prodi, due fondatori del Pd, ad opera dei parlamentari franchi tiratori del Pd – eletti con le primarie “farlocche” tra Natale e Capodanno del 2013 – è ripartita la corsa per il Quirinale. Tutti speriamo nella capacità e nella determinazione del nuovo segretario del Pd Matteo Renzi di non ripetere più i grossolani errori commessi a ripetizione dal suo predecessore, Bersani. Dall’aver fatto votare immediatamente Marini senza ricorrere alla scheda bianca per le prime 3 votazioni che richiedono la maggioranza qualificata, all’averlo liquidato un secondo dopo il primo scrutinio; dall’aver poi imposto – con un cambio misterioso e repentino di linea e di schieramento – Romano Prodi senza una regia politica adeguata e coerente. E fermiamoci qui per non infierire sul teorico della difesa della “ditta” che doveva essere rimosso prima ancora di quel disastroso esito delle votazioni per il successore di Napolitano.
Ma veniamo all’oggi. Sui giornali leggiamo, come da copione, una valanga di nomi e di cognomi. Alcuni autorevoli, altri che si autocandidano con giornalisti compiacenti, altri ancora che dopo aver solennemente e universalmente annunciato il “ritiro” irreversibile dalla politica, sono disposti ad una deroga. Ovviamente per il bene dell’Italia e come ulteriore e ultimo “servizio” alla patria. Tutti sostengono, anche giustamente, che servono 3 criteri essenziali per la scelta del futuro Capo dello Stato: autorevolezza, indipendenza di giudizio e nome il più possibile condiviso a livello politico. E chi non conviene su questi 3 criteri? Forse sarebbe possibile immaginare il contrario? E proprio attorno a questi 3 criteri, essenziali e discriminanti, la politica – in particolare il Pd e il suo segretario – cercheranno di far convergere il maggior numero di forze politiche e di grandi elettori su un nome.
Non mancano, tuttavia, le anomalie e le singolarità. Adesso qualcuno riparla della necessità di avere un “cattolico” al Colle dopo Napolitano. Un anno fa, e forse giustamente, Renzi usò parole di fuoco contro Marini proprio in virtù, allora come oggi, del fatto che non aveva alcun senso eleggere un “cattolico” al Colle. Francamente, su questo versante aveva ragione. Quello che serve, semmai, è quello di avere una figura autorevole, fedele e garante della Costituzione e faro della politica nazionale. E Marini, ad esempio, lo sarebbe stato a prescindere dalla sua appartenenza religiosa. E, alla luce di questo criterio e delle cose – giuste – pronunciate da Renzi un anno fa, che senso avrebbe oggi individuare un “cattolico” al Quirinale come sollecita qualcuno?
Qualcun altro blatera che un “politico” sarebbe meglio evitarlo. A vantaggio di chi? È un mistero. Pare che un tecnico illuminato, un governista per contratto o un tecnocrate milionario sia più spendibile. E potremmo continuare all’infinito. Ma ci fermiamo qui perché è opportuno non scivolare nel grottesco e nel patetico.
Per il momento ci limitiamo a 2 considerazioni, perlopiù di buon senso.
Innanzitutto il dopo Napolitano richiede una figura politicamente autorevole e “solida” a livello istituzionale. Gli esperimenti innovativi, le compromissioni al ribasso e le figure facilmente pilotabili non sono percorsi consigliati. Al di là dell’essere cattolico, laico, post democristiano, tardo comunista, ex socialista o laico illuminato.
In secondo luogo, dev’essere una figura che non potrà limitarsi a giocare un ruolo puramente “notarile”. Dopo Scalfaro, Ciampi e soprattutto dopo Napolitano, il ruolo dei Presidenti “passacarte” è tramontato. Forse per sempre. Per questo motivo semplice, ma seppur complesso, il Capo dello Stato non è il prodotto di un concorso di popolarità, di bellezza e di appeal televisivo. È una guida politica, istituzionale e forse anche etica. Senza moralismi e senza integralismi, come ovvio. Ma una figura che dura 7 anni e che non potrà essere in balia delle onde populiste e demagogiche di turno.
Ps. E adesso speriamo che non prevalga anche il criterio territoriale su alcuni organi di informazione. Altrimenti, da buon piemontese, non potrei che auspicare la candidatura di Sergio Chiamparino o di Piero Fassino al Quirinale. Due personalità, lo dico con franchezza, che rientrano sicuramente e perfettamente nei “candidabili” al Colle, ma a prescindere radicalmente dalla loro specifica appartenenza territoriale.