Martedì 16 aprile è stato firmato il Protocollo di Intesa di costituzione della prima “Oil Free Zone” d’Italia, tassello preliminare di quella che sarà a sua volta la prima Comunità Energetica del nostro Paese, prevista a Pinerolo e dintorni, provincia di Torino. Si tratta di un accordo importante e innovativo, sottoscritto al momento da 25 comuni, che in prospettiva potrebbero diventare oltre 40. Il soggetto che si occupa del progetto è CPE, Consorzio Pinerolo Energia, che vede come capofila ACEA, la società pubblica di servizi partecipata dai comuni stessi, che già si occupa di produzione e distribuzione di elettricità.
Il Consorzio si avvale della collaborazione tecnica del mondo accademico, in particolare del Politecnico di Torino, e vede tra i soci la stessa Diocesi di Pinerolo, a riprova dell’importanza di un progetto che va ben oltre la rete elettrica, diventando strumento di sviluppo e coesione per un intero territorio e la sua comunità. Lo ha sottolineato, in apertura dei lavori, lo stesso vescovo di Pinerolo, parlando di opportunità per la comunità territoriale, ma anche della necessità etica di perseguire questo tipo di scelte, per salvaguardare l’ecosistema, il bene comune più grande che abbiamo, per noi e per le generazioni future.
Durante l’incontro, moderato da Luca Mercalli, climatologo e giornalista scientifico, l’Amministratore Delegato di ACEA, Francesco Carcioffo, ha tracciato una breve descrizione delle Comunità energetiche, realtà già presenti ai primi del ‘900, ma sostanzialmente azzerate dalla nazionalizzazione dell’energia in capo a un unico soggetto, salvo eccezioni residuali di piccole dimensioni in zone relativamente remote. Con l’arrivo del libero mercato dell’energia, l’Unione Europea ha emanato una direttiva che le rende nuovamente possibili e incentiva le Regioni a promuoverle, una opportunità che il Piemonte ha recepito per primo in Italia, emanando a sua volta una legge ad hoc.
Nella sostanza, una Comunità energetica è un soggetto senza fini di lucro che unisce produttori e consumatori, con i primi che cedono elettricità direttamente ai secondi, anziché al gestore della distribuzione, evitando un passaggio e abbattendo gli “oneri di sistema” imposti da chi controlla la rete, che concorrono in maniera rilevante (30-40%) al costo totale in bolletta. Un vantaggio economico che verrebbe ridistribuito fra i soci o reinvestito nel sistema, attirando nuovi potenziali investitori. Il tutto con una produzione basata su fonti rinnovabili, in modo da impattare il meno possibile sull’ambiente, e con la creazione di posti di lavoro qualificati. Insomma, un sistema energetico “a chilometro zero”, ma comunque connesso con la rete nazionale, in grado di garantire molti vantaggi al proprio territorio.
Il problema è che mettere in funzione una realtà del genere, utile e auspicabile sotto vari aspetti, è tutt’altro che semplice, come ha ben spiegato il Professor Angelo Tartaglia, docente del Politecnico di Torino, amministratore nel comune di Cantalupa e principale promotore del progetto. Le difficoltà sono molte, non tanto di ordine tecnico, quanto dal punto di vista normativo e burocratico. La legislazione in materia è infatti confusa e contraddittoria, come spesso avviene nel nostro Paese, nonché molto limitante per gli Enti pubblici, nella fattispecie i Comuni.
Ecco allora che al rigore imposto dalla risoluzione dei problemi operativi, occorre affiancare fantasia e sottigliezze da azzeccagarbugli per trovare varchi percorribili fra le tortuosità nella normativa. Un primo passo è appunto quello della creazione della “Oil Free Zone”, in sostanza una dichiarazione di intenti sottoscrivibile in modo volontario e senza complicazioni da parte dei Comuni, per aprire la strada alle fonti rinnovabili al posto di quelle fossili, responsabili delle emissioni di anidride carbonica che concorrono in modo determinante all’effetto serra e al conseguente riscaldamento globale, causa a sua volta dei mutamenti climatici in corso. Via dunque petrolio, gas e carbone per fare posto a fotovoltaico, idroelettrico, eolico e biomasse, purché gestite in modo sostenibile, cioè con un ciclo del carbonio “chiuso”, ovvero con le emissioni prodotte dagli impianti che vengono riassorbite da quella stessa vegetazione che verrà poi a sua volta bruciata per generare energia, in un sistema in equilibrio. Cosa che non avviene coi combustibili fossili, nei quali l’anidride è stata fissata milioni di anni fa e viene liberata senza possibilità di ricostituire la risorsa primaria.
Occorre poi individuare la forma giuridica della Comunità energetica, probabilmente cooperativa, perché consente di far coesistere soggetti pubblici (i Comuni) e privati (principalmente aziende, ma anche singoli cittadini). Inoltre occorre ribaltare la visione normativa, eccessivamente penalizzante anche per chi voglia intraprendere iniziative virtuose: non limitarsi cioè a eseguire solo ciò che è specificatamente previsto dalla normativa, ma provare a fare anche ciò che non è espressamente vietato. Questo anche in virtù di quanto scritto nella Legge 221/2015 relativa proprio alle “Oil Free Zone”, che prevede per queste aree la possibilità di condurre “sperimentazioni”.
In questo, il pinerolese è favorito proprio dalla presenza di Acea, che produce e distribuisce energia, ma è di proprietà dei Comuni, che sono anche consumatori, quindi all’interno del Consorzio troviamo tutti i soggetti interessati, che possono dunque agire in maniera autonoma, pur rimanendo connessi alla Rete elettrica nazionale, magari con qualche escamotage perfettamente legale. Come quello che prevede l’autoconsumo “altrove” per i Comuni con meno di 20.000 abitanti, ovvero la possibilità di consumare l’energia autoprodotta non necessariamente sul luogo di produzione, ma anche altrove, appunto. In sostanza, significa che se i pannelli solari sul tetto di un’abitazione privata durante il giorno producono energia che non viene consumata dal produttore, perché magari è al lavoro, questa può essere ceduta direttamente a chi ne abbisogna in quel momento lì, anche se è un soggetto diverso.
Un esempio fra i tanti, giusto per capire quali difficoltà debba superare chi sta cercando di costruire la prima Comunità energetica di nuova costituzione in Italia, ben diversa da quelle storiche per dimensioni e complessità. Parliamo di un soggetto che andrebbe a interessare un territorio di 1350 chilometri quadrati, con 150.000 abitanti e decine di aziende produttive. Un sistema complesso, ma potenzialmente in grado di riversare sul territorio effetti benefici non solo dal punto di vista energetico e ambientale, ma anche e soprattutto socio-economico. Perché a fianco dell’infrastruttura operativa è destinata a crescere anche la consapevolezza della comunità dei cittadini, grazie anche a iniziative didattiche e di informativa mirata, volte a incentivare stili di vita più sostenibili, riduzione di sprechi e consumi, risparmio energetico e così via.
Un qualcosa di assolutamente necessario, come ha rimarcato Luca Mercalli a conclusione dell’incontro, vista la sfida senza precedenti nella storia dell’umanità che ci viene posta dai mutamenti climatici. Mai infatti nell’ultimo mezzo milione di anni la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera era stata così elevata, dunque mai si è profilato un effetto serra e un riscaldamento globale così marcato e subitaneo. Ciò che sta accadendo oggi non era mai successo prima, o perlomeno non così rapidamente. Vale la pena rimarcare che, se finalmente tutti noi intraprendessimo percorsi virtuosi come quello della Comunità energetica pinerolese, comunque la temperatura media è destinata a salire entro i due gradi, a causa di tutti i combustibili fossili che abbiamo già bruciato dall’inizio dell’era industriale e nell’ultimo secolo in particolare. Una situazione che i climatologi definiscono “pericolosa”.
Ma, se non si agisce, la temperatura potrebbe salire di oltre due gradi, con conseguenze catastrofiche. Agire ora è dunque un imperativo etico, perché rischiamo di lasciare alle generazioni future un pianeta invivibile, ma anche di condannare noi stessi a stare in un mondo con una qualità di vita sempre più bassa, a causa degli sconvolgimenti atmosferici, sociali ed economici provocati dai mutamenti climatici.