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sabato, 7 Dicembre 2024

Omicidio Biagi, indagati Scajola e De Gennaro

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Non adottarono misure idonee a proteggere l’incolumità di Marco Biagi. È questa l’accusa che viene mossa dalla Procura di Bologna a Claudio Scajola, ex ministro dell’Interno tra il 2001 e il 2002, ed a Gianni De Gennaro, allora capo della Polizia e attualmente ai vertici di Finmeccanica. I due sono stati iscritti nel registro degli indagati per “cooperazione colposa in omicidio colposo”, ma sull’inchiesta pende la spada di Damocle della prescrizione. Secondo l’avvocato della famiglia del giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse il 19 marzo del 2002, prima di essere inviati per competenza al Tribunale dei ministri, gli atti saranno vagliati da un tribunale speciale che dovrà chiedere ai diretti interessati se intendano avvalersi della prescrizione o rinunciarvi.
L’inchiesta bis, aperta nel maggio scorso, ha preso il via da un carteggio sequestrato nell’abitazione di Luciano Zocchi, all’epoca segretario particolare del ministro dell’Interno: nell’appunto indirizzato a Scajola si riportavano i timori dell’allora sottosegretario al Lavoro Maurizio Sacconi in ordine a possibili attentati ai danni di Biagi.
Il 15 settembre 2001, il Viminale disponeva una «razionalizzazione» delle scorte con una circolare che, oltre alla firma del ministro, porta in calce quella dell’allora capo della polizia, Gianni De Gennaro.
Chi ha sbagliato nel togliere la scorta a Marco Biagi «lo ha fatto per superficialità e certamente non per volontà», dichiara oggi Zocchi, che nei mesi scorsi è stato sentito dai pm in qualità di persona informata sui fatti. Gli inquirenti nel capo d’imputazione parlano di «imprudenza e negligenza»: i due, in concorso tra loro, avrebbero ignorato le segnalazioni che da più parti arrivavano sullo scarso livello di protezione del professore.
Pochi mesi dopo l’attentato fece scalpore la frase pronunciata da Scajola, che parlò di Biagi come di «un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza» col Ministero del lavoro. Sortita che gli costò il posto al Viminale.
L’unico ad avanzare dubbi sull’inchiesta è l’allora confessore di Biagi, padre Augusto Tollon. «Non so che valore abbia una inchiesta tanto tardiva», ha dichiarato il sacerdote. «La giustizia o si fa subito o quando arriva in ritardo non ha un grande valore. Lasciamo in pace i morti», ha concluso.
Come detto, ora la palla passa al tribunale speciale che dovrà interrogare gli indagati, i quali dovranno decidere se rinunciare o meno alla prescrizione, essendo trascorsi ormai più di tredici anni dai fatti. Se decideranno di non avvalersene, gli atti verranno trasmessi per competenza al tribunale dei ministri.

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