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lunedì, 16 Settembre 2024

Nosiglia per il Primo maggio: “E’ ora di cambiare il sistema economico in cui viviamo”

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Monsignor Cesare Nosiglia, partendo dal monito che ha ricordato Papa Francesco in questi giorni, “abbiamo pensato di vivere da sani in un mondo malato”, nel messaggio per il Primo maggio, festa di San Giuseppe lavoratore, ricorda le molte imprese che nei mesi scorsi  annunciavano le chiusure e i fallimenti, e dunque disoccupazione.

Inoltre, evidenzia come questo periodo di pandemia possa essere una occasione di rivedere radicalmente un paradigma socio-economico che spesso si è fondato sul consumismo più sfrenato.
Con un monito ricorda come occorra una attenta vigilanza, politica e culturale, per non creare esclusioni. Infine, illustra le iniziative messe in campo dalla Diocesi con gesti concreti di solidarietà.

Qui di seguito il messaggio dell’arcivescovo di Torino e Vescovo di Susa per il Primo maggio, festa dei Lavorato e di San Giuseppe lavoratore:

“L’enorme sconvolgimento della pandemia ha svelato anche le molte debolezze del nostro stile di vita. Come spesso ci ha ricordato Papa Francesco “abbiamo pensato di vivere da sani in un mondo malato”, abitato da squilibri e diseguaglianze spesso generate dalle stesse attività umane. Il contagio, anzi, ha accentuato la 2crisi di sistema” nel mondo economico e finanziario: una crisi a cui la nostra area torinese era già fortemente esposta prima del virus. Molte imprese, anche nei mesi scorsi, stavano annunciando chiusure e fallimenti, e dunque ancora disoccupazione. Ricordo i colloqui con i lavoratori della Ex Embraco, della Martor, della Olisistem e della Mahle e le chiusure e gravi difficoltà di tante imprese della bassa Val Susa in particolare. A loro va ancora una volta la mia vicinanza e preghiera: sono ben consapevole delle difficoltà che ancora dovranno affrontare. Il nostro sistema produttivo, economico e lavorativo, già fiaccato da una lunga transizione incompiuta, ha assolutamente bisogno di risollevarsi. Tutti insieme, istituzioni pubbliche, società civile e, nel proprio ambito, la Chiesa torinese e della Val Susa dobbiamo trovare nuove strade per non spegnere il nostro territorio.

Da questa emergenza sanitaria possiamo anche cogliere elementi per pensare e progettare un futuro diverso e migliore. Abbiamo la straordinaria occasione di rivedere radicalmente un paradigma socio-economico che spesso si è fondato sul consumismo più sfrenato. Oggi tornano a guadagnare attenzione e respiro, invece, le grandi idee e la lezione dell’enciclica “Laudato Sì”, nella quale papa Francesco ci chiede di curare la nostra casa comune come un “corpo unitario” e organico.

“Tutto è connesso”, ha spesso ripetuto Francesco. E proprio la pandemia ci ha dimostrato quanto e come le crisi oggi sono autenticamente globali, non solo nella declinazione geografica (ovvero riguardano ogni angola della terra), ma anche e soprattutto nella sfera della vita umana. Salute, ambiente, economia, sociale educazione: nessun settore (e nessuno Stato) può stare in piedi da solo. Unire le forze, fare comunità, questa la via del futuro.

Sì, è ora di cambiare il sistema economico in cui viviamo, ed è questo un impegno che riguarda e coinvolge tutti. Sono già molti gli imprenditori rispettosi dellambiente e dei diritti e opportunità dei lavoratori. Occorre incoraggiarli, così come bisogna che i lavoratori siano preparati ad affrontare i cambiamenti che il mondo nuovo richiede.
A tutti dobbiamo ricordare che la crisi e le emergenze possono accentuare le disuguaglianze, e produrne di nuove. Occorre una attenta vigilanza, politica e culturale, per non creare esclusioni. Penso ad esempio a quei lavori e settori che saranno travolti dal balzo tecnologico-digitale che il Paese sta compiendo; e alle infrastrutture telematiche ancora carenti distribuite in modo non omogeneo sul territorio. Ma penso anche a tutti quei lavoratori senza tutele sufficienti, senza diritti e ammortizzatori sociali che continuano a vivere in preoccupanti zone grigie.

C’è, in questa emergenza, un grande scenario di solidarietà dentro cui abbiamo visto operare medici, infermieri, addetti allassistenza sanitaria. E, al loro fianco, volontari di ogni genere, insieme con tutti quei lavoratori che hanno garantito la “sopravvivenza” del Paese mantenendo attivi e funzionanti i servizi essenziali, dagli alimentari alla logistica, dai trasporti ai servizi ecologici. Il nostro grazie significa anche che questo tessuto di impegno e di coraggio va sostenuto e valorizzato; e che il mondo non si fonda solamente sui consumismi e i guadagni finanziari… È il lavoro il nostro bene prezioso, la nostra vera ricchezza!

Gesti concreti di solidarietà

La Chiesa di Torino e della Val Susa non vogliono restare a guardare. La solidarietà, che in tanti campi si è già attivata, deve diventare non unazione estemporanea, ma un modo “abituale” di vivere. Ecco allora una serie di iniziative che la Diocesi di Torino promuove.

In primo luogo desidero aprire, in occasione della Festa dei lavoratori, un Fondo di Solidarietà in cui possano confluire risorse economiche per contrastare la carenza di liquidità che molte famiglie, liberi professionisti, esercizi commerciali e piccolissimi imprenditori stanno drammaticamente vivendo. Affinché il lavoro riparta bisogna innanzitutto sostenere il credito; le Diocesi di Torino e quella della Val Susa, in modo coordinato, mediante l’ausilio della Fondazione don Mario Operti, hanno già raccolto risorse economiche che permettono di aprire un fondo di garanzia. Verranno forniti dei Prestiti Sociali a chi ha maggiore difficoltà ad accedere al credito bancario, nella logica del microcredito; i prestiti potranno contare su un Fondo di Garanzia, costituito presso la Fondazione don Mario Operti che permetterà anche la copertura a interessi zero e senza spese per i beneficiari.
Il fondo è denominato “Sorriso — La Solidarietà che riavvicina e sostiene”. L’iniziativa è sostenuta e accompagnata dallistituito Unicredit, soggetto che erogherà i prestiti garantiti dalla Fondazione Operti.
La Fondazione inoltre si occuperà di garantire un accompagnamento alle persone e alle realtà che ne faranno richiesta.

Rivolgo pertanto un appello per far fronte insieme alle necessità del lavoro e delle imprese affinché questo fondo possa essere ulteriormente arricchito dalle donazioni di altre persone e/o organizzazioni che potranno e vorranno offrire un sostegno. Rivolgo in particolar modo lappello alle organizzazioni filantropiche, alle grandi imprese e alle loro associazioni di categoria, perché possano sostenere unazione coordinata di welfare comunitario, di solidarietà umana e sociale per far sì che “nessuno sia escluso” dallo sforzo per ripartire dopo la pandemia del Covid-19.

In secondo luogo mi rivolgo alla comunità cristiana: impegnarsi nel volontariato è un atto che spesso accompagna la pastorale delle nostre comunità. Nella nostra diocesi sono già attivi una ventina di servizi per il lavoro e un centinaio di volontari. Essi svolgono un lavoro prezioso, e nei prossimi mesi lattività sarà certamente da implementare per accompagnare la ripartenza. Il mio appello va a tutti coloro che hanno tempo e/o competenze da donare: ci sarà da accompagnare le persone nella ricerca di un lavoro, ci sarà da sostenere psicologicamente chi è rimasto spiazzato da questa situazione drammatica.
Alle parrocchie chiedo di costituire, in coordinamento con l’Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro, dei presidi territoriali per lascolto e laccompagnamento delle persone alla ricerca del lavoro. Sono convintoche piccole azioni comunitarie e locali siano importanti per aiutare le persone a rialzarsi. La speranza, virtù teologale, ha sempre bisogno di camminare sulle gambe delle persone e di concretizzarsi nellordinario della vita.

In terzo luogo proseguirà il cammino intrapreso dal «Tavolo lavoro», avviato dalla Chiesa torinese e ora anche quella della Val Susa come strumento di dialogo con le realtà produttive, sociali ed economiche, con i sindacati, con le associazioni d’impresa, con le fondazioni territoriali, per riflettere sul futuro del lavoro a Torino e nella Val Susa. Appariva un’emergenza prima dello scoppio della pandemia, rappresenta oggi un segnale di speranza”.

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