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lunedì, 16 Settembre 2024

“Mio padre morto di Coronavirus, dissero che era un attacco di panico”

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Giulia Zanotti
Giulia Zanotti
Giornalista dal 2012, muove i suoi primi passi nel mondo dell'informazione all'interno della redazione di Nuova Società. Laureata in Culture Moderne Comparate, con una tesi sul New Journalism americano. Direttore responsabile di Nuova Società dal 2020.

Sono tante le storie tragicamente figlie di questi mesi di emergenza Coronavirus. Le abbiamo ascoltate, le abbiamo raccontate quotidianamente. Spesso uscite da un reparto ormai allo stremo o dietro le lacrime dei parenti di chi a causa di questo virus ora non c’è più.

E proprio il racconto è diventato l’unico modo che ha avuto chi è stato colpito dalla tragedia di farsi ascoltare. Ma non è solo il dolore a fare da cornice a queste narrazioni. C’è anche la rabbia di chi ha dovuto scoprire a suo malgrado che non è stato solo il virus a uccidere ma purtroppo anche errori da parte soprattutto delle istituzioni.

Uno di questi racconti, una sorta di diario dentro l’incubo, lo ha scritto il vercellese Luca Barresi, figlio dell’ex consigliere comunale M5s Francesco, ucciso dal Coronavirus nel mese di marzo, come è stato riportato dalla pagina Facebook “Giornalismo investigativo” di Fabrizio Peronaci.

Un racconto che abbiamo il dovere di riportare integralmente per non interrompere la voce di chi ha vissuto in prima persona quanto riportato.

Notte 10/11 marzo 2020: mio padre Francesco Barresi da qualche giorno manifesta tosse e febbre bassa. Qualche giorno prima da una visita di controllo del diabete gli viene modificata la cura. Nella notte in questione accusa un forte calo di pressione, sudorazione, tosse. Esce il 118, gli stabilizzano la pressione, controllano i parametri di saturazione e temperatura corporea che “purtroppo” risultano regolari. Quindi il medico chiede: “Lei ora preferisce venire in pronto soccorso e farsi infettare o stare tranquillo a casa visto che si è ripreso?”; dando per scontato non si sa con quale criterio che i disturbi di mio padre fossero legati al diabete e nulla c’entravano col virus, nonostante fosse stato avvisato della presenza di casi nel nostro comune e che mio padre viveva il paese.

Ovviamente mio padre decide di stare a casa. Viene segnato sullo scontrino che rilasciano che il paziente si rifiuta di andare in PS. Assurdo.

14 marzo 2020: in questi giorni mio padre continua a stare male, dolori fisici, inappettenza, tosse molto forte. Il medico di base minimizza.

Nella notte fra il 13 e il 14 il virus irrompe, addirittura a tratti non riesce a formulare frasi di senso compiuto, io penso ad un ictus, ma poi si “calma” e trascorriamo la notte. La mattina del 14 mio padre è lucido ma io chiamo il medico di base che, oltre a continuare a spingere sulla teoria del cambio di cura del diabete che crea scompensi, addirittura dice che il problema del linguaggio sia dovuto ad attacchi di panico.

A pranzo si ripresentano le difficoltà nel linguaggio, nell’appetito, dolori, tosse molto forte. Al che rompo gli indugi e richiamo il 118 che questa volta porta mio padre in ospedale a Vercelli. Parte con le sue gambe e tornerà in una bara.

14/16 marzo 2020: rimane in PS, il tampone effettuato sabato 14, risultato lunedì 16 ( 48 ore!). Diciamo che abbiamo fatto sguazzare il virus nell’organismo di mio padre senza alcun contrasto per 7 giorni pieni o forse più.

16/22 marzo 2020: gli ultimi giorni di vita mio padre li passa al reparto malattie infettive aiutato a respirare da una maschera cpap.

Le informazioni che otteniamo dai medici sono sommarie ed alquante scocciate. Non si capisce perché nn venga provata un’Intubazione. Non si capisce se sia stato trattato con farmaci. Non si sa se fosse stato fatto il possibile. Speriamo di scoprire qualcosa dalla cartella clinica.

La cosa sconcertante della Regione Piemonte è che a 6 persone state a stretto contatto con lui negli ultimi giorni a casa non viene fatto alcun tipo di controllo se non una chiamata giornaliera per sapere la temperatura corporea. Anzi no, sono stati prontissimi a mandare la polizia per verificare che non violassimo la quarantena quando per un saluto il carro funebre si fermò fuori casa. Questa è la mia testimonianza, magari mio padre sarebbe morto lo stesso, ma non vedo nelle istituzioni la volontà di garantire le cure necessarie a tutti ed attuare un’efficace politica di prevenzione.

Oggi 7 maggio ’20 scopro che un comune vicino casa effettua test sierologici a pagamento. Noi avendo avuto il virus in casa per senso civico e cura personale lo effettueremo. Purtroppo non siamo stati così importanti da essere controllati dallo Stato.

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