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mercoledì, 23 Ottobre 2024

L’ultima parola – la vera storia di Dalton Trumbo

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di Andrea Zummo

Dalton Trumbo (1905-1976) fu uno dei più prolifici e geniali sceneggiatori del cinema americano, a cavallo tra gli anni ’40 e i ’70. Rivive sullo schermo, interpretato con straordinaria duttilità da Bryan Cranston (candidato agli Oscar), nella pellicola di Jay Roach “L’ultima parola – la vera storia di Dalton Trumbo”.

Si ripercorre la vicenda di Trumbo, iscritto al partito comunista americano dal 1943, che, una volta finita la guerra, si ritrova come molti suoi colleghi ad essere sospettato di simpatie verso l’Unione Sovietica, assolutamente inaccettabili, nel clima imperante della Guerra Fredda. La Commissione per le Attività Antiamericane avrebbe interrogato e perseguitato, rendendo la loro vita un inferno, decine e decine tra attori, sceneggiatori e registi. Ma se molti scelsero di ammettere la loro militanza o le proprie simpatie, denunciando anche certi colleghi, alcuni, come Trumbo, si rifiutarono di rispondere alle domande della Commissione, in aperto contrasto con il primo emendamento, finendo in carcere. Trumbo, riconquistata la libertà e tornato dalla famiglia (una moglie e tre figli), nell’impossibilità di lavorare, anche a causa di personalità conservatrici e influenti del mondo Hollywood (John Wayne in primis, ma anche la giornalista Hedda Hopper, qui interpretata con perfidia da Helen Mirren), si mise a scrivere copioni sotto falso nome. Per lo più cinema spazzatura, grazie al produttore Frank King (irresistibile John Goodman), ma anche delle storie importanti, come “Vacanze Romane” e “La grande corrida”, che gli fecero vincere, seppur in incognito, due Oscar. Saranno Kirk Douglas, produttore e protagonista del film di Stanley Kubrick “Spartacus” e Otto Preminger, regista di “Exodus” (entrambi i film del 1960) a volere Trumbo alla sceneggiatura, imponendo di far comparire il suo nome nei titoli di testa, cosa mai avvenuta nel decennio precedente, per la censura imposta all’autore. Questa scelta, i tempi che stavano cambiando (l’isolamento e la fine da alcolista del senatore McCarthy, principale fautore di quell’isterica caccia alle streghe; la presidenza Kennedy) contribuirono a incrinare quel sistema, che pur sarebbe durato ufficialmente ancora 15 anni, aprendo la strada alla fine del periodo di crociata contro i rossi, del “fascismo americano più violento e dannoso”, come lo definì Eleanor Roosevelt.

Film biografico che incrocia uno dei momenti più bui della storia statunitense, ma costruisce la storia soprattutto sul versante personale e umano del suo protagonista. Ne esce il ritratto di un uomo dalla brillante mente creativa, capace di scrivere un copione in pochi giorni (spesso immerso nella vasca da bagno, con le sue sigarette fumate nel bocchino e il bicchiere di whisky), determinato e coraggioso, ma anche arrogante, quasi autoritario con i figli, generoso e sincero, coerente e dal carattere difficile. Bryan Cranston lo interpreta con mimesi straordinaria, nella giusta miscela che lo rende amabile e non troppo detestabile.

La storia di Trumbo, come dei “10 di Hollywood” che sfidarono il Congresso, ci ricorda di quanto fragile può essere la democrazia, piena di ombre e di paure, capace di perseguitare i suoi cittadini per una causa sbagliata; ma ci insegna anche quanto la parola (e, se consideriamo le sceneggiature, in senso lato il cinema) sia un’arma di libertà che nessuno può censurare o imbavagliare, per sempre. Prima o poi, la parola vince.

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