di Bernardo Basilici Menini
Gian Carlo Caselli, magistrato che ha dedicato la vita alla lotta al terrorismo e alla mafia. Procuratore Capo della Repubblica di Torino dal 2008 al 2013 e in precedenza aveva guidato la Procura di Palermo.
Nella sua carriera, durata mezzo secolo, ci sono gli “anni di piombo”, quando da giudice istruttore seguiva i processi contro le Brigate Rosse e Prima Linea, e coordinava le inchieste sulla colonna torinese delle Br. E proprio il terrorismo degli anni Settanta e Ottanta è stato ultimamente usato come paragone per quello di matrice islamica.
Gian Carlo Caselli, ma ci sono veramente similitudini tra la stella a cinque punte e la bandiera nera dell’Isis? Regge la comparazione?
No, il raffronto è estremamente forzato. Parliamo di mondi totalmente e profondamente diversi. Inoltre il terrorismo indigeno italiano, pur collocandosi in una stagione che a livello mondiale vedeva soggetti per certi versi simili (Rote Armee Fraktion tedesca, Esercito rosso giapponese, Pantere nere statunitensi, Nouvelle resistence populaire in Francia), agiva solo dentro lo Stato, con l’obiettivo di colpire le istituzioni dentro i confini del paese. Farneticando, i brigatisti volevano obbligare lo stato a “gettare la maschera” della finta democrazia, e mostrare il lato autoritario e fascista.
L’articolo completo sul numero cartaceo di giugno di Nuovasocietà