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venerdì, 18 Ottobre 2024

Il vangelo a portata di mano

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

di Vittorino Merinas

“Tante volte siamo ciechi, privi della bella luce della fede, non perché non abbiamo a portata di mano il vangelo, ma per un eccesso di teologie complicate”, ha detto Francesco ai sacerdoti romani nell’omelia del Giovedì Santo, dimostrando ancor una volta, nonostante il suo pieno consenso al magistero tradizionale, la sua contrarietà ad una pastorale dei principi. La sua indicazione è una pastorale della misericordia, della vicinanza all’uomo, senza pregiudiziali né per proselitismo. Gesù non ha predicato teologie. Le teologie le hanno dedotte altri. Egli ha annunciato un mondo del tutto diverso da quello sperimentabile allora e tuttora, dove potere e ricchezza spadroneggiano e asserviscono. Di quel mondo ha capovolto i valori: “Guai a voi che siete ricchi, guai a voi che adesso ridete…Beati i poveri, beati quelli che piangono…” Al di là d’ogni disquisizione teologica, Francesco, sulla scia biblica d’un messia-salvatore non solo spirituale, vorrebbe che già qualcosa di questa nuova realtà fosse pregustabile. Così predica la dignità dell’uomo che esige rispetto e tutt’altra ripartizione dei beni terreni. Nessun papa aveva mai osato dire che la struttura capitalistica uccide, suscitando rabbiose reazioni e subendo il ripudio da parte di tanti che prima lo elogiavano, non solo della borghesia danarosa,, ma anche tra i devoti, laici e tonacati.

Fedele a questa linea missionaria, Francesco alla preghiera ed all’esortazione tipica dell’oratoria papale, aggiunge interventi calibrati su precise situazioni di grande portata a livello mondiale, sia in campo politico che religioso. Incontri e dialogo a tu per tu tra potenti di fronti opposti come percorso possibile e pacifico per chiarire e possibilmente risolvere i reciproci contrasti. Abbattere muri e creare ponti reali e non solo auspicarli. Una politica non più orientata a conseguire spazi e privilegi per sé, ma coinvolta senza secondi fini in un impegno generale per una pacifica coesistenza fondata sul riconoscimento dei mutui diritti e non sulla forza delle armi. Ed un ecumenismo non sospetto di volontà di conquista, ma rispettoso del pluralismo delle fedi.

Orizzonti nuovi per una chiesa da secoli paga di sé ed orgogliosa del possesso dell’assoluta verità da imporre a tutti, anche, com’è avvenuto nella sua storia, con la forza. Una nuova visione di sé e della propria missione, aperture ed impegni nuovi che richiedono profondi cambiamenti in strutture ancorate al passato, affinché i nuovi cammini possano essere percorsi. Compito già colto da papa Giovanni, cui pose a fondamento il Concilio Vaticano II. Oggi, finalmente, una parte consistente della gerarchia, allora refrattaria ai nuovi indirizzi, è stata costretta ha riconoscerne la fondatezza, chiedendo a Francesco, attraverso i cardinali che lo elessero, di riprendere quell’opera.

E Francesco ha raccolto l’appello, consapevole però, dell’insufficienza di semplici ritocchi alla struttura curiale romana onde alleggerirne l’opprimente universale presenza. La curia è lo strumento con cui il papa governa in relazione a precise condizioni storiche. Mutando queste la chiesa non può che rapportarsi alla nuova situazione culturale riformando se stessa e, di conseguenza, rimodellando articolatamente ed armonicamente tutti i suoi organismi, curia compresa, per dare efficacia alla sua missione. A questo miravano papa Giovanni ed il Concilio ai quali oggi si riallaccia Francesco. Collegialità episcopale nel governo della chiesa, decentralizzazione amministrativa e dottrinale, sinodalità articolata a tutti i livelli ecclesiali per attuare la corresponsabilità di tutti nell’azione evangelizzatrice. Argomenti sui quali ormai si discorre correntemente. Si discorre, ma nulla è concretamente avviato. Francesco ha invitato le conferenze episcopali nazionali ad una maggiore autonomia, ha stimolato i padri sinodali a maggior coraggio e libertà nel dibattere… Le risposte finora sono esitanti. Il conservatorismo è radicato. Il vecchio è ritenuto misura di validità. L’episcopato è abituato ad obbedire seppure bofonchiando. Qui non si tratta più di intervenire su comportamenti aberranti come la pedofilia o l’amministrazione corrotta dei beni ecclesiastici, ma di incidere nel vivo della struttura stessa della chiesa. Occorrono mentalità aperte e animi coraggiosi tra coloro che in essa detengono il potere. Francesco ha bisogno di diffuso consenso e di forte appoggio. Purtroppo, il tempo che gli rimane s’accorcia giorno dopo giorno. Finora non ha posto atti innovativi chiari, decisivi, inappellabili e incontrastabili da chi lo seguirà, magari eletto, c’è da temerlo, da un collegio cardinalizio pentito dell’errore fatto la sera del 13 marzo 2013. E’ tempo che Francesco li ponga se vuole evitare un’ennesima disfatta! (Riforme, 2, fine)

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